Il Museo Laboratorio di Arte Contemporanea ha concluso la sua attività espositiva per l’anno 2001-02 con l’organizzazione di un fuori programma, in cui l’estemporaneità s’intona perfettamente alla freschezza e all’ardito sperimentalismo che, da sempre, costituiscono la cifra distintiva e inconfondibile di questo spazio. Uno spazio che funge, non tanto da contenitore, quanto da propulsore d’idee e progetti, suscitati dall’atmosfera stimolante che vi si respira. L’apertura e la proiezione verso l’esterno, alla ricerca di una condivisione intersoggettiva, ispirata al dialogo e allo scambio dialettico, gli conferiscono un’impronta di marcata originalità, rendendolo un unicum nel panorama nazionale. Il Museo inteso, dunque, non come vetrina (sepolcro) delle opere d’arte, ma come luogo di formazione e crescita intellettuale, che emergono tra gli obiettivi prioritari della mission universitaria. In sintonia con tale tendenza, l’11 luglio 2002 il MLAC ha presentato un evento dal titolo ArtconFusion, a sottolineare l’urgenza di sconfinare da griglie e schemi prestabiliti: la confusione allude, infatti, al radicale sovvertimento di quei parametri che, paralizzati nel tessuto atrofico della dottrina, sono soliti orientare la fruizione estetica e la prassi storico-critica. La confusione non coincide, tuttavia, con la semplice ribellione a stilemi passatisti, espressa tramite un lessico impetuoso e vagamente romantico, memore del Futurismo; essa svela, al contrario, la sua natura proteiforme, evocando, oltre alla sensazione immediata di un caos primordiale, quella, più profonda, di una coincidentia oppositorum. Filo conduttore della mostra-evento è, appunto, l’armonico contemperamento dei contrari che, aggregati secondo una logica non meramente additiva, ma sinergica e relazionale, tessono una fitta rete di rapporti: echi che si rispondono a distanza, stabilendo un colloquio libero dai convenzionali codici linguistici e comunicativi. Le informazioni si coordinano e intrecciano spontaneamente, senza obbedire a un percorso narrativo già segnato in partenza; i vari elementi, apparentemente privi di un nesso, mostrano, al contrario, inedite e misteriose analogie. Tale modus operandi affonda le sue radici in un sostrato teorico, che intende promuovere un approccio trasversale e multidisciplinare alla contemporaneità, mediante l’attraversamento di generi, forme, linguaggi. A questo proposito, MLAC Digital History, una sorta di collage video proiettato nella sala inferiore, raccoglie, in formato digitale, le memorie fotografiche del Museo Laboratorio datate 2001-02. Uno sguardo retrospettivo che, privo di fini documentari, mette a fuoco il perseguimento d’iniziative e interessi molteplici, che spaziano dalle mostre alle letture attive, dalla ricerca alla didattica. Una breve, quanto icastica presentazione, che introduce all’originale allestimento della sala superiore. Due videoinstallazioni si snodano sui lati brevi dello spazio espositivo, poste in modo speculare l’una rispetto all’altra; ad accomunarle è la riflessione sul concetto d’identità che, nel video di Nathalie Grenzhaeuser (Solo Tango, 2000-02) sembra scaturire, inevitabilmente, dal confronto con l’altro, dentro e fuori di sé. Protagonista è, infatti, l’artista che veste, contemporaneamente, i panni dell’uomo e della donna, in un’atmosfera immobile e sospesa, dominata da un grigiore che imprime alle immagini una patina d’antico. È come se le silhouette impalpabili dei personaggi levitassero nel flusso dei pixel luminosi, sospinte dalla corrente del ricordo o, forse, del sogno. La presenza di uno stipite murario taglia in due la scena, costringendoli ad agire, ciascuno nel proprio spazio, senza alcuna possibilità d’incontro. Essi, inoltre, sono sempre distanti e posti, alternativamente, l’uno in primo piano, l’altra sullo sfondo. Il mancato sincronismo suggerisce l’idea di una separazione tra i sessi, dalla quale sembra dipendere la conseguente assenza di dialogo. Al contempo l’artista, giocando sul filo di un’ambiguità attenuata dal sapore retrò della scena, stile film anni ’50, esibisce un’identità bifronte e frammentata. Diversamente Shaghayegh Sharafi, In una stanza grande quanto la solitudine (2001), pone l’accento sul ricordo, individuale e collettivo, inteso come riserva aurea del proprio assetto identitario. La fotografia è rappresentata dai lavori dei giovani Andrea Malizia e Eugenio Percossi. Il primo propone tre stampe su alluminio di ampio formato (Occhio; Cerchio; Spalla, 2002): immagini astratte di oggetti; presenze, apparentemente insignificanti e inanimate, che popolano il suo studio, ora ingrandite oltre misura, ora deformate a tal punto da risultare irriconoscibili. Lo sguardo trapassa dall’impatto percettivo con le cose, spesso viziato da inveterate abitudini retiniche, nell’intelletto, che svela un mondo invisibile, ancora inesplorato, oltre l’apparenza. Estraneo a qualsiasi poetica del quotidiano, Malizia non conferisce, perciò, alcun valore simbolico ai propri scatti che, non tanto sembrano fotografare gli oggetti, quanto le immagini mentali, sfuggenti e visionarie, da essi suggerite. Eugenio Percossi presenta due lavori tratti dalla recente serie Escape (2002), realizzata durante un viaggio a New York dopo la tragedia di Ground Zero. L’obiettivo isola, dal formicolio variopinto dei passanti, alcuni individui in bianco e nero, a sottolineare l’incessante insinuarsi della morte nella vita. L’uso del mezzo fotografico sembra confermare questo dato ineluttabile, potendo vantare, al riguardo, un ricco bottino di cadaveri! Ines Fontenla è presente con tre installazioni: Orbis Terrarum (1996), Impero (1997) e Cosmographia Terrestre (1997-2002). L’ultima, site-specific, è stata progettata, traendo spunto da un precedente lavoro, appositamente per il Museo Laboratorio. Alcune calotte emisferiche, sulle quali si dispiegano le rappresentazioni cartografiche dei continenti, sono immerse in una distesa di pigmento blu oltremare. L’artista, che da sempre riflette sulle diverse modalità di concepire e raffigurare il nostro pianeta nel corso dei secoli, sembra proiettare la sua immagine mentale nello spazio infinito del cosmo. La Terra, dunque, come prodotto di una speculazione che cerca, costantemente, di oltrepassare i suoi limiti per conquistare nuovi traguardi conoscitivi. L’evento totale e in progress di ArtconFusion è culminato nell’azione poetico-teatrale di Ghislain Mayaud/ Marco Olimpio/ Gabriella Fedele. La terrazza del Museo Laboratorio ha ospitato, per l’occasione, un suggestivo intervento basato sull’interazione tra corpo, suono, parola. Successivamente, Sukran Moral ha allestito alcuni materiali (tavolo, telo rosso, immagini del colpo di stato in Turchia), a comporre lo scenario di una performance, piuttosto allusa che, effettivamente, realizzata. Un’azione mancata, giocata sugli opposti crinali della presenza-assenza, nonché sulla smaterializzazione della stessa figura dell’artista. Come dire: …Fiat aura!

 

11-31 luglio 2002

2-21 settembre 2002

 

Maria Egizia Fiaschetti