Il 7 giugno 2002 alle ore 18:30 presso il Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università di Roma “La Sapienza” si inaugurerà la mostra personale di Mimmo Martorelli dal titolo Mappa Mentale, a cura di Domenico Scudero.

Per la sua prima personale a Roma Mimmo Martorelli esporrà una serie scelta dei suoi ultimi lavori pittorici realizzati con tecnica di pastelli su tela. Il lavoro di Martorelli, sia pure realizzato con un procedimento tecnico tradizionale si avvale di “pattern” visivi estremamente contemporanei.
L’artista, che ha studiato prima in Italia e successivamente in Gran Bretagna, ha infatti elaborato un sistema di segni derivati dall’astrazione, in cui la fitta trama dei colori propone una estraneazione della visione, sottoposta a stimolazioni contrastanti.
Il lavoro di Martorelli coniuga il patrimonio storico della pittura con una disinvolta gestione dei colori e dei pigmenti pastello e offre un percorso di grande suggestione visiva dai connotati psichedelici.
Lontano da correnti e mode del momento, questo giovane artista, dimostra con tenace volontà la possibilità di testimoniare attraverso la pittura l’identità quotidiana del nostro immediato tempo presente.
La mostra propone una selezione di grandi tele e di altri lavori inediti sempre sul tema della definizione iconografica e concettuale dell’astrazione pittorica rivisitata in chiave attuale.

La mostra è proposta nell’ambito del Dottorato di Ricerca “Arte di Confine” e dei relativi corsi sperimentali di Stage/Master in Cura Critica ed Installazione Museale, voluti dal direttore del Museo Simonetta Lux.

La mostra resterà aperta dal 7 al 27 giugno 2002.

 

 

Le topografie psichiche di Mimmo Martorelli
testo di Maria Egizia Fiaschetti

La personale del salernitano Mimmo Martorelli, allestita nella sala superiore del MLAC (dal 7 al 27 Giugno 2002), si presenta quale viaggio immaginario nei tortuosi meandri della psiche. I dipinti, tutti di ampio formato, documentano, infatti, l’istanza di tracciare un’ipotetica Mappa Mentale: una miriade di segni, nervosi, palpitanti, serpentini anima la superficie pittorica, proliferando al suo interno, quasi fosse alimentata da un’incessante germinazione endogena. È un magma ribollente di tratti convulsi, replicati in modo ossessivo, che dilagano ovunque, rilevando una tettonica cerebrale complessa e indecifrabile. Impossibile recuperare il filo di quest’ordito fitto e inestricabile: a tesserlo è una mano invisibile, fedele soltanto al suo dettato interiore. Sorprendente il talento cartografico di Mimmo Martorelli: con la perizia del sismologo registra e trascrive le onde d’urto che impattano la mente. La materia, fluida e impalpabile, del pensiero si fenomenizza tramite una calligrafia densa di allusioni biomorfiche. Il segno, al di fuori dei tradizionali codici linguistici, riacquista la sua originaria valenza eidetica, capace di fornire una sorta di calco, di radiografia della mente; non a caso, l’artista si serve di tale strumento per mappare un terreno tanto instabile e polimorfo. Le infinite ramificazioni segniche, che saturano l’intero campo pittorico, sembrano veicolare il flusso dei neuroni, irrorare il tessuto cerebrale con la loro, febbrile, attività. A sua volta, il cromatismo intenso e chiassoso che anima le opere di Martorelli, comunica un intenso vitalismo. I pigmenti, distillati nella loro essenza pura, timbrica, esercitano un impatto violento sul fruitore e, quasi, inondano il suo apparato percettivo, provocandone il temporaneo collasso. L’overdose cromatica determina un cortocircuito sensoriale e costringe a trascendere il mero approccio empirico, per approdare a un più elevato stadio di riflessione. La strategia operata dall’artista consiste, dunque, nel virare i toni a declinazioni, via via sempre più acide, al fine di propiziare tale processo di sublimazione. Egli articola un discorso prettamente mentale e lo struttura mediante rispondenze analogiche: è come se tentasse di tradurre il linguaggio psichico in una sostanza caratterizzata dal medesimo “codice genetico”. Perciò egli si serve del segno: per risalire alla sorgente stessa dell’intuizione. La tecnica duttile del pastello veicola questa peculiare trascrizione. Esso funge, infatti, da protesi naturale e “prolungamento del dito”, grazie al quale è possibile ricostruire la morfologia interna dell’uomo, facendo uso, appunto, di un medium affine. Al contempo, gli arabeschi lineari che invadono il supporto, attuano una precipua opera di riempimento; lo spazio pittorico si presenta come una superficie neutra, un contenitore vuoto, destinato a raccogliere le informazioni elaborate dal cervello. Le tele, dai margini stranamente ampi, assumono l’insolita fisionomia di scatole che alludono, metaforicamente, al cranio. L’uso preponderante di un alfabeto aniconico è interpolato, talvolta, dall’inserimento di lettere e simboli algebrico – matematici; estrapolati dal linguaggio informatico, essi esortano a considerare i processi mentali umani in chiave meccanomorfa, come un puro derivato della chimica. L’artista, tuttavia, non identifica affatto il cervello con il processore di un computer. Soltanto al primo compete, infatti, la scelta di quali informazioni selezionare, filtrare, salvare, archiviare, cestinare… Nonostante i suoi automatismi e la sua, intrinseca, fisiologia il cervello consta di un potenziale ulteriore, una specie di valore aggiunto incarnato dal libero arbitrio: quella facoltà, privilegio esclusivo dell’uomo, che consente di decidere autonomamente come gestire e organizzare il proprio sapere. Da qui, l’immagine eloquente del labirinto, che si staglia concretamente sul pavimento dello spazio espositivo. Una serie di pneumatici, spruzzati di vernice gialla, sono inseriti entro strutture di legno nere, a formare quel dedalo senza uscita. Paradossalmente, l’installazione non è praticabile: si può soltanto girarvi intorno, costeggiandone il perimetro esterno. Questa condizione di esilio forzato esprime, in realtà, la necessità di spogliarsi del proprio abito corporeo, per potervi accedere mentalmente. La ratio riesce a governare la materia vischiosa e volatile del pensiero, arginandola con il suo assetto reticolare; allo stesso modo, la sostanza, morbida e gommosa, dei pneumatici è congelata e impacchettata in involucri lignei. La memoria, dunque, come insieme di file, destinati a racchiudere informazioni; impossibile, tuttavia, escludere da un’autentica mappatura della psiche umana, gli eventuali deragliamenti, i depistaggi, gli sconfinamenti…Alla metafora del labirinto si aggiunge, perciò, quella di un’immensa prigione, in cui “…un popolo silente di infami ragni tende le sue reti in fondo ai cervelli nostri”(Charles Baudelaire).