Il 10 luglio 2003 presso i locali del MLAC, Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, inaugurerà la video-installazione Trilogie française, a cura di Vania Granata e Tania Vetromile.

Christian Boltanski, Patrick Bokanowski, Robert Cahen nascono in Francia rispettivamente nel 1944, nel 1943 e nel 1945.
Trilogie française, proiezione simultanea dei lavori più rappresentativi dei tre artisti, è un percorso video-installativo che propone il confronto incrociato tra le differenti declinazioni del linguaggio video in autori francesi della medesima generazione.

La telecamera apparentemente neutrale di Boltanski, un registratore fisso ad archiviare e documentare vite ordinarie al limite dell’impersonalità, affida al margine del non-detto soggettivo lo svelarsi dell’anonimato collettivo in una sapiente miscela di realtà e finzione.

Christian Boltanski: Essai de reconstitution des 46 jours qui précéderent la mort de Françoise Guinot, 1971, 18′; L’homme qui tousse, 1969, 2′ 30”;Tout ce dont je me souviens, 1969, 19”.

Perseguono un intento pittorico le atmosfere macabre ed ossessive di Bokanowski, che, seppur traendo origine dal dato reale, si trasfigurano chimicamente ed otticamente risultando indifferenti ad ogni intento narrativo

Patrick Bokanowski: ‘La plage, 1991, 12′; La femme qui se poudre, 1972, 18′; Dejeneur du matin, 1974, 12′; Au bord du lac, 1993, 6′.

A Robert Cahen, pioniere nella sperimentazione video dei primi anni settanta, spetta il compito di incentrarsi sugli aspetti lirici della visione. Un percorso dialettico tra fotografia, cinema, musica ed elettronica, che si appropriava in maniera avanguardista di effetti tecnologici inusuali (viraggio, ralenti, solarizzazione e sovrimpressione delle immagini), pervenendo alla focalizzazione dell’intravisto, (“l’entre aperçue“): ciò che “aldilà dello specchio” si nasconde.

Robert Cahen: Cartes postales (estratti), 1984-86; Invitation au vojage, 1973, 9′ 15”; Juste le temps, 1993, 13′; Solo, 1989, 4′; Montenvers et mer de glace, 1987, 8′; La notte delle bugie, 1993, 10′ 30”.

La mostra è realizzata nella programmazione del Museo Laboratorio nell’ambito dei corsi sperimentali di Stage/Master in Cura Critica ed Installazione Museale, voluti dal direttore del Museo Simonetta Lux e realizzati del curatore del MLAC Domenico Scudero.
Inaugurazione 10 luglio ore 18:00

La mostra resterà aperta dal 10 al 18 luglio 2003

dal lunedì al venerdì ore 10 – 20.

 

 

Christian Boltanski

Sono tempo, memoria, dimensione umana, ad essere attraversati dall’occhio di Boltanski. Occhio che ammicca costantemente all’universo fotografico e alle sue regole più generiche – registrazione/riproduzione del reale – anche quando viene a celarsi dietro alle lenti della cinepresa.
Christian Boltanski distribuisce indifferentemente il suo percorso artistico tra i medium della pittura, della fotografia e del video. Ciò che emerge come costante trait d’union, seppure declinato attraverso linguaggi eterodossi, è un’intenzione essenzialmente “realizzante”, che tende ovvero alla realtà pur mantenendosi costantemente in bilico, ma non in contraddizione, con l’ambiguità delle sue sapienti ricostruzioni artificiali.

Il caso del Essais de reconstrution sur les dernieres jours qui précéderent la mort de Françoise Guinot, è in questo contesto assolutamente esemplare: a guidare la camera cinematografica non è nulla più che l’intento di registrare/documentare/ricostruire gli ultimi 46 giorni di esistenza di una donna – Françoise Guinot – estratta a caso dalle strade della vita: in scena una vita e una morte “feriali”.

Nessun commento, nessun intervento didascalico, guidano il filmato; la voce fuori-campo assolve l’unico compito di documentare e sottolineare la quotidianità, la “normalità”, dell’azione. Non esiste intento che devii dal descrittivo: chi guarda è posto davanti alla visione neutra di una vita comune. Vita che, seppur artificialmente ri-costruita, potrebbe essere di chiunque: la nostra, ad esempio.

La mancanza di commento, l’apparente assenza dell’autore permettono, e di fatto creano, la possibilità di identificazione tra spettatore e opera; spettatore e vita dei soggetti presi ad oggetto.

L’individualità dell’artista scompare infatti per far posto a quell’importante anonimato collettivo in cui Boltanski riconosce l’Uomo.

Nel video però, differentemente dalla fotografia, per dirla con Barthes, stigmatizzata nella mortifera “stasi dell’aoristo”, la dimensione temporale che scandisce l’inizio-fine dell’azione è fondamentale.

Il tempo – che siano 46 giorni di vita di una donna qualunque, o che si sveli nell’azione reiterata dei due minuti e mezzo de L’homme qui tousse – avvalora l’intento di documentare la realtà quale essa è – comune, quotidiana, per l’appunto reiterata – assumendo il proustiano sapore di memoria.

La memoria assolve l’Uomo dall’oblio, dal nulla; questa, la necessità di recupero che Boltanski focalizza anche nei velocissimi, quasi incomprensibili, diciannove secondi di Tout ce dont je me souviens.

Vania Granata

 

Robert Cahen

Il nome di Robert Cahen è compreso fra quel novero di artisti che per primi, in Europa, hanno sondato le infinite possibilità espressive dell’arte elettronica.

Nato a Valence nel 1945, la sua formazione è per intero votata alla musica. Studia presso il Groupe Recherches Musicales composizione elettronica sotto la guida di Pierre Schaeffer, diplomandosi nel 1971 in “musica applicata all’audiovisivo“.

La componente musicale è preponderante anche nella successiva sperimentazione video, che non solo si avvale di suoni “non-convenzionali” (come può esserlo il risultato dello strofinamento di un archetto di violino sopra un pezzo di cartone), ma si predispone per intero verso un tipo di ricezione polifonica, che sappia cogliere di un’immagine il lieve tremotio di fondo, e interpretare una inondazione di colore blu come l’effetto di un soffio di vento.

L’invitation au voyage, primo lavoro video del 1973, contiene in germe quasi tutte le componenti distintive di Cahen, a cominciare proprio dal particolare uso del colore, da cogliere nelle solarizzazioni dei paesaggi visti dal treno. Altra direzione di ricerca che compare per la prima volta in L’invitation è la messa in moto delle immagini, espediente specifico del linguaggio video ma indagato da Cahen come archetipa possibilità che ha un’immagine fissa di iniziarsi al movimento. In questo senso si spiega l’adozione del ralenti (relegato agli inizi degli anni ’70 unicamente al servizio dello sport) in Juste le Temps e soprattutto nelle varie Cartes Postales, pochi secondi che separano, in questa rassegna, gli altri video più lunghi e in cui una fotografia-ricordo da immobile, sulla falsariga dei vecchi Intervalli preserali della Rai, prende vita con incanto. Le Cartes Postales, di cui si propongono alcuni estratti, sono ricordi dei numerosi viaggi realizzati nel mondo, dal Mediterraneo alle grandi metropoli americane e asiatiche.
Robert Cahen è stato definito un paesaggista. Il suo è un mondo armonioso colto attraverso la perenne dimensione del viaggio. Le sue visioni non lasciano apertamente leggibili i propri contenuti, le immagini modificano il proprio stato naturale in virtù di filtri, schermi meccanici. L’utilizzo di questi espedienti è funzionale alla particolare concezione di Cahen dell’intravisto, l’entr’apercu: “nascondere” e “scoprire” sono le attività preferite, praticate e suggerite da questo autore che infatti sostiene “è più suggestivo guardare un paesaggio in uno specchio invece che direttamente”.

Tania Vetromile

Patrick Bokanowski

Fotografia, ottica e chimica sono alla base della formazione di Bokanoski (Francia, 1943). Gli studi, effettuati sotto la guida di Henri Dimier, specialista dei fenomeni ottici e prospettici, e di Jean Mutschell, che lo inizia al linguaggio del cinema di animazione, rappresentano quella particolare cultura che Patrick Bokanowski elaborerà tramite la vasta capienza del contenitore video.

Caratteristico nella produzione bokanowskiana è un approccio alla realtà mai diretto, ma “filtrato”; che non considera come fondamentale la necessità narrativa. I cortometraggi La Plage, e Au bord du lac, sono la più chiara testimonianza di questo “guardare senza narrare”.

La composizione, pur partendo dalla ripresa del dato reale – una spiaggia, la vegetazione ai bordi di un lago -, si distorce filtrata dall’intromissione, tra realtà e cinepresa, di un vetro smerigliato, pervenendo a suggestive visioni pittoriche.

I numerosi effetti ottici sono utilizzati al fine di creare una percezione alterata in cui la luce assume il ruolo di protagonista: è la luce, la scomposizione del suo spettro in lunghezze d’onda variabili, e le “impressioni” da essa depositate sui corpi che ostacolano la sua corsa, ad animare la ricerca di Bokanowski.

Le sperimentazioni sulla percezione della luce permangono in La femme qui se poudre e in Dejeneur du maitin, sebbene vengano indirizzate alla creazione di una dimensione completamente incubante, collocata in una atmosfera cupa e claustrofobica che sembra deviare dall’esito pittorico dei lavori precedentemente analizzati. La deformazione coinvolge ambienti, personaggi, accompagnamenti musicali creando un clima perturbato e perturbante che ricorda i caratteri del cinema muto espressionista tedesco.