Da molti anni sfoglio le riviste d’arte con apatia e distacco. Ne ho avuto esperienza, delle riviste, in vario modo, e mi sono convinto della loro necessità ma anche della loro inesorabile risposta a determinati meccanismi, attuati e praticati per poter sopravvivere. Sono questi meccanismi che a volte surclassano il contenuto stesso. Spesso non occorre neppure sbirciare nelle pagine di gerenza e nel colophon per comprendere appieno i rapporti stretti che legano articoli con sistemi già convalidati e scambi di vario genere. Il meccanismo di una rivista è di per sé crudele. Per esistere ha bisogno di soldi e questi si muovono solo in funzione di una resa, di un profitto. Quello che mi interessa in Nero, pubblicata di recente a Roma e già apparsa in 2 numeri, è che non si riconoscono come usuali i collegamenti fra articoli, recensioni e scritti. Possiamo soltanto immaginare in questa giovane pubblicazione che ci siano già molti rapporti fra fasi funzionali del sistema e interessi individuali coltivati a vario titolo. Tuttavia questo di per sé basterebbe ad esortare alla lettura. Chi lo faccia a titolo professionale non sarà certo facilitato dalla grafica stringata – fra centro sociale e fanzine disco – e difficilmente potrà ricostruire le dinamiche che hanno condotto alla sottolineatura di questo o di quello attraverso i consueti strumenti di interpretazione esistenti nel sistema dell’arte. Il lettore scanzonato potrà allora trovare divertente questo ampio raggio di interessi, spesso discordanti, o addirittura contraddittori. In realtà è la semplice caratteristica che spinge Nero nel campo delle novità da guardare con attenzione. Si tratta infatti di uno di quei semplici fogli marcati dal timbrico entusiasmo giovanile e che lascia intravedere i probabili impegnativi sviluppi di una futura nuova scena della critica e dell’arte. Sfogliando Nero ho rivisto l’avventura indipendente di Sottotraccia e di Opening, di questa anche la consistenza della grammatura, il bianco/nero, il formato spartano; ma anche l’idealismo di scelte sollecitate da interessi autentici e personali e che nulla devono ad interessi esterni. In ogni recensione, come in un aulico foglio d’arte, si aprono scenari di lettura e abbozzi di visioni individuali. L’arte è un complesso organismo e non si fa distinzione fra una forma e l’altra se non per esprimere concetti e contenuti. In breve a me è sembrato il segno di una nuova responsabilità, la capacità di nuove tendenze di esprimersi compiutamente anche attraverso il sostegno critico, letterario, curatoriale. Ma, ovviamente, proprio ricordando Opening e le sue traversie trasmetto a Nero ed ai suoi autori un consiglio di prudenza: una rivista di questo tipo scatenerà inevitabilmente gli appetiti dei “procuratori”. Allo stesso modo di com’è successo in altri casi, un soggetto culturale che mostri apertura e disinteresse verso dinamiche già consolidate, potrebbe diventare lo strumento di facili appropriazioni smerciate da critici pseudo manager per proteggere strategie di crescita e di mercato comunque indipendenti dagli scopi della redazione. In quel caso la stesura fascinosa dei contenuti diverrebbe la semplice propaganda strategica di interessi manageriali.
Il mio augurio è di trovare questa rivista spesso e ovunque, sempre vitale e circospetta sui contenuti: spero anche che questa generazione anni 2000 sappia resistere al diluvio di promesse della critica manageriale, quella nata nel disprezzo della storia, le cui parole sono aggressioni alla cultura ed al sapere. Resistere nei contenuti derivati da scelte operate nello studio etico può diventare un aggravio per la prosecuzione di questo progetto, di questo presente critico e curatoriale: non possono esserci alternative.