Klemens Gasser & Tanja Grunert Inc.
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New York 21 febbraio 2004, un colloquio con Klemens Gasser.

Simonetta Lux: Una coincidenza ritrovarci qui dopo tanto tempo e proprio nel momento in cui la tua galleria ospita nuovamente la mostra di quest’artista europea così interessante, con cui hai iniziato nel 1998, con Tania Grunert! Vorrei che mi parlassi un po’ della Athila e dei suoi progetti che mi sembra seguano una linea di ricerca di pseudodesign.
Klemens Gasser: Queste quattro sculture esposte nella galleria sono case per la mente.
Sono le sue prime sculture in assoluto e sono le estensioni di problemi e concetti che la Ahtila ha toccato nei suoi precedenti lavori. In particolare la video installazione The House – La Casa, realizzata un anno e mezzo fa.
Per realizzare il film lei ha intervistato ed analizzato in modo scientifico alcuni soggetti psicotici. Dopo un anno di studio del materiale risultato della ricerca Eija ha scritto il primo soggetto del film che ha poi realizzato.
In The House una donna vive e si muove nella sua casa e cerca di tenere fuori gli elementi esterni. I rumori ad esempio. Tutto però si mescola e la donna crede di venir visitata da diversi personaggi. In questo progetto Ahtila cerca di raccontare la malattia mentale.

S.L.: Quindi ci sono vari elementi: nei suoi precedenti lavori c’era la famiglia e gli ambienti che lei ha osservato, filmato e fotografato. Ora una casa vuota. Di che ipotesi si tratta secondo te?
K.G.: La cosa secondo me importante è che nei lavori precedenti l’artista partiva da un’ ipotesi ma non sapeva dove il suo lavoro l’avrebbe condotta. Nel film invece tutto è programmato: le persone che ci lavorano, la sceneggiatura, il trucco. Tutto è prestabilito nei dettagli, anche il risultato finale. Nelle sue sculture poi il progetto è perennemente in fieri: sia mentre l’artista ci lavorava, ma anche adesso, perchè tutto può essere interpretato e riletto. Ancora Athila si chiede cosa siano. Chiamandole case per la mente intendeva costruire delle case di uno stato d’animo. Una di questa per esempio, quella in alluminio, ha una piscina in un patio esterno da cui l’acqua è strasbordata, arrivando ad inondare fino al secondo piano della costruzione. E’ come lo stato d’animo che si ha quando le cose vanno male e tutto appare affondato.

S.L.: Questi progetti sono quindi una metafora dell’evento interiore.
K.G.: Esattamente. Sono possibili espressioni di cose che difficilmente sono rappresentabili con cose concrete. Due anni fa Ahtila ha lavorato a un progetto che ha chiamato Scenografer’s mind – La mente dello scenografo. Era composta da una serie di fotografie, ritratti del suo attuale scenografo, in diversi spazi.

S.L.: Cosa ha fatto l’artista con tutto il materiale relativo alla ricerca sui soggetti psicotici? Le interviste per esempio, le ha consegnate, sono da pubblicare, sono in qualche modo disponibili, considerando che la sua opera viene da lei consegnata ad un pubblico?
K.G.: No, non sono consultabili. Diciamo che The House è uno dei tre lavori che Ahtila ha realizzato dopo aver lavorato sulle sue interviste. Un’altro si chiama The Wind – Il vento, e si riferiva in particolare alla psicosi di uno dei suoi intervistati. L’ultima è un’installazione composta da cinque monitor. The House è un lavoro più astratto e generale. Le storie raccontate dalla Athila dopo le interviste sono comunque inventate.
La prima mostra che ha realizzato a New York nel 1998, qui nella nostra galleria, era una video installazione intitolata Aki & God. Era il primo lavoro dedicato ai disturbi mentali. Il protagonosta del video, Aki, aveva un forte dolore alla testa ed era alla ricerca di Dio. La soluzione dei suoi problemi sarebbe arrivata solo dopo aver messo in ordine tutta la sua casa. L’installazione era composta da sei monitor che raffiguravano Dio e sei attori che recitavano la parte di Aki. Un lavoro molto complesso in cui erano mescolati cinema e installazione.

S.L.: Dunque Athila è rivolta molto di più al versante del cinema e dell’azione filmica piuttosto che al filone del design e della scultura.
K.G.: Dei suoi lavori esistono infatti anche versioni pensate e realizzate per il cinema vero e proprio e che sono state presentate ai festival internazionali. Sono versioni leggermente differenti e più lunghe delle video installazioni. Credo che alcuni migliori artisti degli anni Novanta hanno questa dualità, quest’interesse sia per il cinema sia per l’arte. Va detto anche che rispetto agli artisti delle generazioni precedenti hanno anche più strumenti a disposizione e spesso più aiuti pubblici e statali che permettono loro quest’ incursione nell’industria cinematografica. In Finlandia gli aiuti pubblici per queste produzioni sono ingenti e permettono una qualità molto alta dei lavori. Gli artisti lavorano in pellicola ed hanno a disposizione studios di produzione e post produzione.

S.L.: Secondo te esistono anche negli Stati Uniti questi aiuti agli artisti? È possibile ricevere finanziamenti?
K.G.: No, questo tipo di finanziamenti ed aiuti non esistono. In Europa è una pratica più diffusa, permessa anche dai progetti sostenuti dalla Comunità Europea.
Tutte le decisioni vengono prese in base alla contingenza, tutto è molto più personale, e questo è diverso dalla Germania e dall’Italia.

S.L.: La scienziata Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la medicina, che ebbe una borsa di studio negli Stati Uniti, racconta che le durante un’intervista le chiesero, appena arrivata, come avrebbe speso questi soldi. Lei rispose che si sarebbe dedicata solo alla ricerca pura, senza dire come avrebbe utilizzato i fondi ricevuti. Pensava che sarebbe stata cacciata, mentre furono colpiti dalla prontezza della sua risposta.
K.G.: Certamente poi la burocrazia di New York è più mastodontica di quella di Roma. Ci sono più persone che ci lavorano.

S.L.: Parliamo dell’Arte. È seguita? Ha un pubblico? Esiste un pubblico indipendente dal collezionista?
K.G.: Certamente. Esiste un vastissimo pubblico. A questo proposito ti faccio un esempio che rende lampante la pragmaticità Americana. Se organizzo una mostra a Roma, o Colonia, o Bolzano, dopo venti giorni dall’allestimento non so ancora rendermi conto del suo successo o insuccesso. Qui a new York, dopo due o tre giorni capisco subito gli esiti della mostra. Non solo dalle vendite, ma soprattutto dale reazioni delle persone. Qui c’è un feedback immediato. Questo comporta anche che ti chiedi subito, in caso di insuccesso, in cosa hai sbagliato: a Roma o Colonia penseresti subito “Sono troppo stupidi per capire”. Qui invece ti chiedi se la mostra era poco interessante, o se doveva essere allestita diversamente. Il discorso vale anche all’inverso anche per il successo di una mostra: in questo caso le reazioni immediate sono molto belle.

S.L.: Quando si parla di vendere una mostra, ci si riferisce ai collezionisti? O anche ai musei?
K.G.: Tutto. Visto che ci occupiamo sia di artisti affermati che di giovani o giovanissimi. I potenziali acquirenti sono di varia natura, a seconda di ciò che offri. Il collezionista può anche essere interessato ad acquistare pezzi di giovani autori, mentre i musei tendenzialmente puntano agli artisti più affermati.

S.L.: La Società italiana di Estetica dedicherà un sezione del suo prossimo Convegno Annuale al Destino delle Arti (sic). È secondo te una domanda possibile? Esiste un pericolo per l’arte?
K.G.: Esisterà sempre la necessità di fare per l’artista. Questa è una risposta possibile.

S.L.: Si dà sempre di più il dato del fare opera di sé stessi .
Tornando a parlar di Eija Liisa Athila, credi che anche lei faccia opera di sé stessa?
K.G.: Lei è un’artista strana da questo punto di vista. In un certo senso il suo lavoro è totalmente universale, perché non presenta mai un dato puramente personale dell’artista.

The House

The House è il titolo della video installazione dell’artista finlandese Eija Liisa Athila in mostra alla galleria Gasser & Grunert di New York. Il video, del 2002, è stato esposto per la prima volta all’XI Documenta di Kassel.
Le immagini del video sono proiettate su tre pareti di una sala buia: sono flussi di realtà paralleli catturati dalle macchine da presa nella stessa unità di tempo e di spazio. Ognuna di queste immagini danno una soggettiva diversa dell’azione che si sta svolgendo, rendendo tangibile il senso di irrealtà che aleggia nella vecchia casa sul mare in cui la protagonista del video vive, insieme ai suoi fantasmi ed alle sue paure, durante un’estate nordica senza giorno e notte.

Eija Liisa Athila

Eija Liisa Athila Nata nel 1959, vive e lavora a Helsinky.
Insieme a The House, la Galleria Gasser & Grunert di New York ha ospitato una serie di sculture dell’artista finlandese, concepite come “case per la mente”: veri e propri modelli di abitazioni, apparentemente costruite in stile moderno e razionalista, concepite come la rappresentazione tridimensionale dei diversi tipi psicologici.

Le Case per la mente di Elija Liisa Athila negli spazi della galleria Gasser & Grunert di New York