ART IN THEORY                                                                                                                                                                         Nuovi protocolli dell’arte

Gabriele Pesci si dà sempre tutto e si fa dare tutto: credevo fosse avvenuto per la mostra al MLAC (2006), ed invece basta cliccare su http://www.gabrielepesci.com, ed ecco tutto il suo lavoro di un pugno di anni (2003-2006) racchiuso nella macchina web, e si chiama workgames , giocate con me!
Ma giocare a che cosa?
Giocare al triangolo: mio occhio, tuo occhio, l’occhio strumentale.
Gioca in due mondi: quello quotidiano, prima, quello virtuale poi.
Che vediamo? Come vediamo? Che cosa ci vede?
A scuola di fotografia si dà come compito il ritratto. Nel laboratorio costruisce un set, ma invece di piazzare la fotocamera, installa una videocamera: ai suoi compagni chiede di “posare” appena hanno un momento di tempo, avendo cura di attivare la ripresa. Posano veramente, il gender è sfidato senza neppure dirlo. La complicità ironica e gentile degli amici gli consente di far uscire la macchina dalla sua peculiarità, usandola in modo da renderne inattese le prestazioni. Ecco gli incredibili ritratti: gli occhi battono ogni tanto la bocca si muove impercettibilmente, i giovani sembrano seri, impegnati, curiosi di sé: nasce C.F.P. Bauer , ritratti che per essere visti devono essere su computer.
Ecco la cornice: un Personal Computer collocato come una antico portaritratti a libretto, a destra il volto che si muove, a sinistra verticale la tastiera. L’identità di una persona, che l’immagine fissa del ritratto fotografico avrebbe impietosamente bloccato, incoerentemente con il flusso mutevole che la costituisce, si restituisce così invece in attimi – solo attimi, è vero – brevi, ma purtuttavia acquisendo quel dato di temporalità che Gabriele non vuole perdere. Il Pc inoltre ormai è veramente suo, alla macchina farà fare ciò che vuole, la farà uscire dalle sue peculiarità, attribuendogliene di nuove. Di conseguenza anche i “generi” ed i temi cruciali della ricerca moderna diverranno “altri”: come il tema del quotidiano, dove come sappiamo gli artisti quotidiani hanno fatto infinite incursioni per oltre un secolo, nel tentativo di portare l’arte a se stessi, e quindi agli altri. Il seguito di C.F.P. Bauer è infatti @ home : che cosa avverrà se il ritratto dinamico così riuscito tra i suoi amici di corso nell’arte, lo realizza in case comuni, in studi temporanei, montati in loco, dove vivono insieme a madri senza trucco e a padri un po’ grassetti, con nonne e zie dimentiche degli splendori passati? La cosa riesce benissimo, la interpolazione dei media (video; fotografico, set) dà un nuova unità di visione alla famiglia mutata. Il quotidiano è anche la strada, là dove incontri uomini di tutte le origini, i migranti del lavoro: nasce ASSAB , dal nome di una galleria, ma ecco che viene associato alla città africana da dove viene: si trovano in qualche anfratto delle foto antiche che ritraggono alcuni uomini dell’ottocento in quella località in costumi tradizionali, ed ecco vengono trovati alcuni ragazzi lavoratori di origine africana che vivono a Milano e fotografati, questa volta veramente, con i loro vestiti attuali come tanti giovani di tutto il mondo, nella stessa identica posa di quel gruppo antico. Ci guardano da una comune interiorità, come il “Giovane che guarda Lorenzo Lotto” di Giulio Paolini. Il tempo questa volta non passa, l’umanità è la stessa, tutte le barriere tra uomini e uomini, tra nazionalità e nazionalità, tra classi e classi, si sciolgono nel nulla. Incanto di un’anima curiosa, di un flaneur dei media. Infatti una notte, facendo zapping di fronte alla tv insieme ad Alan Maglio, vede passare su un canale e su un altro la replica di “Comizi d’amore” di Pierpaolo Pasolini e “The Club” una trasmissione in cui venivano intervistati i giovani alla ricerca dell’anima gemella: con un lavoro di taglia e cuci, con il quale il materiale trovato viene unificato attraverso primi piani/ritratto, Gabriele Pesci ed Alan Maglio realizzano due video di riporto, uno in bianco e nero uno a colori, (che poi nella installazione saranno proiettati affiancati, come un dialogo tra due televisori) uniscono i passaggi di immagini usando il disturbo b.n. tipico della tv fuori sintonia. Ma la unificazione che ci propongono è legittima. I giovani di cinquant’anni fa sono come i giovani di oggi: quasi nulla è cambiato, Pasolini aveva previsto che cosa saremmo divenuti, dentro la scatola della appartenenza massmediale. Ma l’immersione nel flusso di immagini e servizi nella televisione satellitare e nel web, l’“altro quotidiano” di questa generazione, non consente più a un certo punto a Gabriele Pesci il gioco a tre sguardi, perché ciò che può raccogliere tra gli infiniti filmati originali provenienti dalle guerre in Kossovo, Afganistan e Iraq, ciò che lo gela per l’orrore di quanto vede, in una comunicazione comunque globalmente condivisa magari con indifferenza dettata dalla nostra impotenza a contrapporci , non gli consentirebbe di far fare alla macchina ciò che vuole, quel gioco della verità fatto come in passato con lievi ritocchi alla verità stessa. Ne scarica da internet moltissimi, apprende che si tratta di registrazioni di attacco effettuate con videocamere termometriche in bianco e nero, con zoom elevatissimi utilizzate da aerei o da elicotteri prima di condurre un attacco.
Queste strumentazioni – scrive Giuliana Montrasio (cfr. “Workagames” in www.gabrielepesci.com ) – registrano la presenza di fonti di calore nelle varie gradazioni a partire dal bianco. Osservando lo scorrere delle immagini si crea una sorta di messa a fuoco in cui situazioni apocalittiche, esplosioni, luci e fuochi, figure sono come dipinte sullo schermo ”. Gabriele Pesci inizia allora a rimontare quegli spezzoni drammatici, registrati con lo stesso sonoro dei militari che commentano le azioni, aggiunge parti della colonna sonora tratta dal film Solaris ( Steven Soderbergh, 2002, colonna sonora di Cliff Martinez ) , nasce quella che egli stesso ha chiamato “ una piécè di science fiction cui dà lo stesso titolo Solaris (video installazione, 11’50”) e Solaris’ Planetary Tales (video installazione con occhiali multimediali, 11’15”), le prime 2 parti di una trilogia non ancora compiuta. Il tema della scoperta di un altro pianeta, caro all’immaginario storico della fantascienza, – scrive l’artista, – è stato da me ribaltato nella scoperta del nostro pianeta come pianeta altro, dove realtà e finzione si rimiscelano di continuo ”.
Il modo del racconto fantascientifico è stato scelto come quello unico possibile per raccontare uno stato incredibile del mondo contemporaneo: guerra, violenza, bugie, sadismo, ipertecnologie. Ma Gabriele Pesci non rinuncia a far fare alla macchina ciò che lui vuole: se le strumentazioni termometriche “registrano la presenza di fonti di calore nelle varie gradazioni a partire dal bianco” allora fa divergere la strumentazione dalla sua finalità mortale e ne fa una macchina che dipinge, con gradazioni tonali che sfocano e mettono a fuoco luoghi prima come inabitati, poi centri con case e animali, poi situazioni via via apocalittiche, esplosioni, luci e figure che fuggono e scompaiono .
Fa dipingere alla macchina il racconto suo, di Gabriele, dell’avvicinamento e della scoperta del pianeta terra, del mondo, con l’avvicinamento dal cosmo, e poi sempre più vicino. Ci sorprendiamo quando dall’Eden spaziale piombiamo su eventi incomprensibili, ma che tra suoni e frammenti di frasi si schiudono nella loro terribile verità.
L’immaginario del racconto cinematografico si associa a poco a poco in risonanze reali, e ci lascia senza fiato.
È questo il nostro pianeta? Sì.

Ritratti transmediali del tempo che passa
Intervista a Gabriele Pesci
Di Simonetta Lux

Simonetta Lux: Hai frequentato la scuola di fotografia a Milano, e ora fai il DAMS a Bologna …
Gabriele Pesci: Mi sono trasferito a Milano per frequentare la scuola di fotografia CFP “Riccardo Bauer”.

S.L.: Che è il nome di una tua opera?
G.P.: L’opera prende il nome dalla scuola perché è nata mentre frequentavo i corsi di Jodice, grande fotografo. Il lavoro è nato dal coninvolgimento dei miei compagni, ricreando l’atmosfera della fotomatica.

S.L.: Come hai fatto?
G.P.: Fondino grigio, luci bianche …

S.L.: Cosa hai detto ai ragazzi?
G.P.: Sto facendo questo progetto, quando avete tempo passate e rimanete in posa per un po’ … per un ritratto. L’idea era quella di ritrarre il tempo che passa, dal momento in cui ti siedi nella cabina e vedi il riflesso di quando ti prepari. Si è creata un’atmosfera giocosa perché nelle pause tra uno scatto e l’altro si rideva …

S.L.: Non dovevi fargli il ritratto? Invece hai usato la macchina da ripresa.
G.P.: Avevo già fatto dei lavori fotografici, ma in quel momento ho deciso di usare la fotografia in un altro modo … ho deciso di lavorare sul tempo come fotografo.

S.L.: Quindi è un’immagine viva, non fissa? La questione del tempo, del movimento, porta ad un risultato metafisico?
G.P.: Di fondo c’è un’idea televisiva, perché i ritratti sono intervallati dal tipico disturbo televisivo.

S.L.: Nella seconda serie @home hai compiuto la stessa operazione nelle case?
G.P.: Mi piaceva l’idea di andare nelle case e conoscere le persone che contattavo, entrare nei loro spazi domestici e registrare le loro reazioni … nel momento in cui li riprendevo cambiavano atteggiamento. Inoltre, nell’installare i loro ritratti sul computer aperto, come fossero delle fotografie, mi sembrava di annullare l’immagine fotografica. In futuro potrebbero esserci solo videoritratti, magari in movimento, così che si possano ripercorrere i luoghi, gli oggettti …

S.L.: Come nei portaritratti, quelli che si aprono e chiudono, che le persone si portano dietro … un retaggio antico, come nel film di Sergio Leone, dove c’è l’orologio che suona. Ogni volta che viene aperto tutte le modalità di portarsi dietro qualcosa di prezionso è legato alla propria persona. La seconda cosa che notavo è il tuo pensiero ad un futuro. Una sorta di delocalizzazione infinita, congiunta a cose già viste: kitsch, luogo comune, passato e futuro, tutti elementi operanti nella tua azione.
G.P.: Sì, anche nella mia vita.

S.L.: Un’altra cosa che volevo sottolineare è che nel tuo lavoro emerge la questione dell’identità in relazione ai posti in cui ci confrontiamo, nella vita privata e nella vita pubblica. È interessante vedere come un artista giovane realizzi un’opera del passato, dell’immaginario comune, come il racconto di una casa, delle diverse città d’Italia.. tutte cose che si possono raccontare. Come Duchamp, che per primo svela l’arte come elemento dinamico, raccogliendo le sue cose …
G.P.: Personalmente non l’ho fatto incosciamente, ma in maniera consapevole. Mi colpisce molto Pirandello quando dice: “se mi vedessi tutto d’un tratto in uno specchio in movimento non riuscirei a vedermi, ma se mi fermassi non sarei più io…”.

S.L.: Certo, come nei Sei personaggi in cerca d’autore emerge questa questione. Visto che non può fermarsi lui, lascia che siano i personaggi a farlo: “io ero seduto nel mio studio finchè non sono entrate delle persone chiedendo di essere prese …entrano e dicono ‘ma noi siamo qui’” e a quel punto inizia la dicotomia tra vero e falso, un gioco che descrive Pirandello. Sai che quando lo presentò a Roma dovette scappare perché lo volevano linciare, mentre quando andò a Parigi c’era come attore Artaud. Poi la sua opera è stata riconosciuta a livello internazionale, ma in Italia dovette scappare…
G.P.: Mi ricordo un’altra cosa, quando stavamo vedendo insieme In Da Club , CFP Bauer , @home , tu mi hai citato delle matrici della nostra condizione culturale contemporanea, per esempio La società dello spettacolo di Guy Debord. Mi è venuto in mente l’uso della comunicazione ….

S.L.: Citavo infatti le fonti della nuova condizione dell’arte. Arte come atto del pensiero, arte come atto critico: Debord, Marcuse, Adorno. Citavo le tre matrici di una posizione problematica dell’arte; un’intelligenza dell’ambiguità connessa alla presunta affermazione della creatività diffusa, della cratiività di massa; l’idea del surrealismo realizzato; attezione voi siete dei soggetti sottoposti a delle ambiguità create per produrre consumo (Marcuse) … Arte Povera – Ipotesi di una guerriglia, dove gli artisti poveri hanno sempre dichiarato di volersi integrare al sistema della committenza, per cui la guerriglia è una convinzione esteriore. Per altro verso la lucidità di Debord, che incarna la posizione situazionista degli anni Cinquanta che è quella di governare l’esperienza del mondo. Quindi tu hai confermato che queste tre fonti sono stati i tuoi punti di riferimento, come in In da club .
G.P.: Dove riprendo i materiali di una trasmissione televisiva contemporanea ai tempi di realizzazione dell’opera, per cui si crea un piccolo scarto tra il momento dell’immagine televisiva e l’opera… nata da Pasolini e da The Club … zappingando… vedendo il documentario inchiesta di Pasolini. Le situazioni che emergevano si potevano rapportare a questa trasmissione televisiva dove alcune persone si presentano con dei video messaggi. È emersa una similitudine di conformismo televisivo e reale tra il lavoro di Pasolini e la trasmissione The Club . Nonostante la distanza temporale e di condizione, i due lavori ritrovano una similitudine di fondo. Ad esempio Pasolini fa vedere come anche gli universitari di Bologna, non erano molto diversi da persone meno colte.

S.L.: Solaris . Eccoci di fronte a quest’opera che mi ha molto emozionato …
G.P.: Anche Solaris utilizza materiale già esistente come Da club , magari più nascosto perché è il frutto di una lunga ricerca in rete. Anche il Caso è parte dell’opera, dei momenti di produzione e di ricerca del materiale… scaricando inzialmente musica, con software di filesharing che permettono di trovare file musicali, video o altri formati in relazione alla parola digitata. Per cui il primo filmato l’ho trovato per caso, mentre scaricavo musica.

S.L.: C’è l’elemento del riuso delle cose trovate..il r eady made praticato sul video, sulle immagine della rete, come delle immagini televisive, per cui si vive il riflesso con il flusso di immagini cui siamo sottoposti…
G.P.: In effetti per caso mi sono trovato simultaneamente a vedere i comizi di vita, la trasmissione The club , a ricercare immagini di guerra … e pochi giorni prima avevo avuto modo di veder su Sky il film Solaris . Da qui è nato il lavoro.

S.L.: Dunque una transmedialità quotidianamente vissuta e subita, una fluttuazione da un mezzo all’altro, divenuta la nostra natura. Infatti dicevi anche che dopo aver visto Solaris hai cercato il romanzo di Lamb.
G.P.: Sì perché il film raccontava l’esplorazione di un pianeta sconosciuto. Vedendo i filmati militari ho pensato a una relazione tra l’approccio dei personaggi di Solaris e quello dei soldati americani… tema caro alla fantascienza, la scoperta di un altro pianeta. Nel mio lavoro Solaris produco lo stesso tema ribaltandolo. Con materiali in parte di documento intraprendo un viaggio nell’origine della terra, un pianeta conosciuto che appare come un pianeta sconociuto, appena nato, sul quale appaiono svolgersi azioni attendibili, prese casualmente dalla rete: azioni di guerra compiute regolarmente dagli americani nel mondo (Kosovo, Afganistan, Iraq …).

S.L.: Quindi l’uso della colonna sonora di Solaris (il film) rappresenta l’esile legame che lega momenti diversi di costruzione della tua opera.
G.P.: Esatto, come nel procedimento di realizzazione di un video clip, per cui Solaris è come un lungo videoclip, dove la musica costruisce il racconto. inoltre il sonoro di Solaris si mescola con parole dell’oggettto trovato: ripresa dell’azione militare, in tempo reale, con frasi, talvolta orribili, pronunciate dai militari a commento delle loro azioni di guerra.

S.L.: L’altra parte dell’opera Solaris , consiste nel fornirci un paio di occhiali multimediali, simili a quelli che usano i militari, che servono ad identificare un’azione che sta avvenendo all’interno del paneta.
G.P.: In Solaris c’è una visione dall’alto. La telecamera è l’occhio che attacca, quindi chi vede guarda il punto di vista del cecchino, o dell’azione che si sta compiendo.

S.L.: In verità alla Feyerabend, ci fai una simulazione … teoria usata prima dagli inglesi per fare una storia, gli americani la usano per fare dei piani di sviluppo: ognuno interpreta un elemento della storia futura ….Quindi realizzi una simulazione anche nell’immagine, poiché l’hai virata in bianco e nero, fingendo che si tratti di una visione termometrica, che in verità non c’era ancora.
G.P.: Gli originali usati sono in verità a colori, riprese reali dell’azione, li ho trasporti in B/N, invertito i canali, per dare continuità a questo racconto che io faccio in Solaris , che è una descrizione del pianeta. Inoltre la mia idea è quella di far vedere le persone che si muovono nelle immagni come dei fantasmi, in un’atmosfera rarefatta.

S.L.: Per concludere questo lavoro che continuerà certamente…
G.P.: Purtoppo continua … esso comprende una sorta di “attivismo”: far vedere ciò che è condiviso da tutti in verità, e che magari non si cerca e difficilmente si trova, e che comunque l’attore primo evita di divulgare e rendere pubblico. Rendere pubblico ciò che è già pubblico.

Roma, 20-04-06

 

Dall’alto:
Solaris Planetary Tales, videoinstallaizone, 2005, 11’05”, Courtesy Gabriele Pesci.
Hompage del sito www.grabrielepesci.com.
IN_DA_CLUB, in collaborazione con Alan Maglio, videoinstallazione, 2005, 10’56”, Courtesy Gabriele Pesci.

@HOME, videoinstallazione, 2004, 1 personal computer portatile, 9’58”, Courtesy Gabriele Pesci. Immagini tratte dalla mostra di Gabriele Pesci Workgames, MLAC, 2006.
C.F.P. BAUER
, videoinstallazione, 2003, un monitor per videosorveglianza, 7’15”, Courtesy Gabriele Pesci.