Note:

1. Simonetta Lux, Il Palazzo Enciclopedico. Art ATTAK, in www.luxflux.net, Speciale 55° Biennale di Venezia.

2. Il bollettino Potlach apparve in 29 numeri, da 22 giugno 1954 al 5 novembre 1957, ed era il bollettino del gruppo francese del movimento Lettrista internazionale. Con i Lettristi e con la creazione dell’Internazione Situazionista, sulla base di fatto e nel riconoscimento della irreversibile degradazione culturale del mondo post-industriale, si teorizza un’arte che è al di là dell’arte che si sarebbe realizzata nella teoria e nella pratica della critica sociale – come in parte è avvenuto e sta avvenendo. Tra i tanti testi cfr. Anselm Jappe, Gui Debord, Roma, 1999 (1° 1993), manifestolibri s.r.l. editore; Guy Debord Correspondance, Vol 6: Janvier 1979-Decembre 1987, Parigi, Librairie Artheme Fayard, 2006; e Gui Debord, Debord: Potlatch 1954-57,Parigi, 1985, Gerard Lebovici ed.

3. Cfr. Karen Liebreich, http://www.karenliebreich.com/2013/venice-biennale/; e Federico Florian, http://www.klatmagazine.com/art/biennale-arte-2013-diario-07-gran-bretagna/9574.

Karen Liebreicht, accusandolo di essere tutto alla superficie delle cose, si svela tutta alla superficie: non sta al gioco dell’arte di apparire e rinviare, di includere e quindi avviare a una riflessione attiva e forse ad una azione. Anche le omissioni del pur bravo Federico Florian mostrano la vera difficoltà di rapporto che l’arte ci impone: in Biennale di Venezia, Arte 2013. Diario #07. Gran Bretagna, “Klatart- Association of ideas”, Florian dimentica qualcosa, le foto delle rivolte in Irlanda nel 1972-73 anch’esse esposte: “I lavori di Deller – egli scrive – contrariamente a quanto si possa pensare a un primo sguardo, sottendono una realtà allarmante, dai risvolti sinistri. In una delle stanze, l’artista espone le fotografie del tour britannico di Ziggy Stardust compiuto da David Bowie nel 1972, insieme a una mappa delle diverse tappe toccate dalla band. È in quell’anno che una grave crisi economica, sociale e politica si abbatte sull’Inghilterra – è a questo che alludono le inquiete fotografie della folla dei fan. Il dramma – in questo lavoro come in tutti gli altri – è soltanto accennato, mai manifesto”.

4. Formatosi nei prestigiosi Courtauld Institute, University of Sussex, Dulwich College, ed invitato in prestigiose istituzioni pubbliche internazionali, Deller lavora fuori dalle gallerie private, Deller è descritto come uno che si muove nell’ambito delle cosiddette spregiativamente “subculture”. Ma Jeremy Deller cerca e crea la azione artistica nei luoghi non deputati insieme a persone che hanno abilità, sentimenti, pensieri cui egli riconosce valore e futuro, anche se non attribuibili o non associabili a quello che per ora si riconosce come mondo dell’arte. In un suo peculiare rapporto con la storia e con la memoria (di ciò che reputiamo significativo per noi) Deller pratica il cosiddetto reenactment ricreazione ficticious filmica o teatrale di eventi radicati profondamente nella consapevolezza sua e popolare: il suo film del 2001 The Battle of Orgreave ha ricostruito ad esempio il famoso e violento scontro tra polizia e minatori in sciopero nel 1984, con l’aiuto sia delle reenactement societies (numerose in Gran Bretagna, inesistenti in Italia) sia degli stessi ex minatori di allora. Cfr. il ritrattino uscito nell’aprile 2012, in occasione della mostra Joy in People alla Hayward Gallery, http://we-make-money-not-art.com/archives/2012/04/joy-in-people.php#.UnDu31Ob-vF; o http://en.wikipedia.org/wiki/Jeremy_Deller; e naturalmente http://www.jeremydeller.org/; e domenica 27 ottobre, su come Deller lavora per il supporto pubblico della cultura: http://www.theguardian.com/lifeandstyle/competition/2013/oct/27/win-jeremy-deller-print.

5. Le idee di Deller o la sua intenzionalità sull’opera della Biennale e sull’arte in generale non sono espresse direttamente o antagonisticamente nell’opera così come ci appare: sono riportate da Hal Foster che in nota precisa appunto di averle raccolte tramite scambi di email, durante la preparazione del libro/catalogo che egli introduce ENGLISH MAGIC. Jeremy Deller, Londra, 2013, British Council Publisher. Come dico più oltre, oggi nell’arte la potenzialità trasformativa e attivante azioni e saperi critici è al di là del visibile e di quanto esposto/espresso. Potere che viene acquisito grazie alla forma prescelta e grazie alla sua sollecitazione ad andare a vedere oltre, nella realtà. Dove agire.

6. Nel film di Deller proiettato in Biennale English Magic, sono riprese scene dell’installazione originale e dell’uso dell’opera Inflatable Stonhenge (Stonhenge Gonfiabile),realizzata dall’artista per la British Olimpic Opening Ceremony nel 2012, poi riallestita per l’Open East Festival in Queen Elizabeth Olympic Park 27 – 28 July 2013.

7. “There’s nothing too wrong with repressed emotions”. A conversation between the artist, an art lover and the museum director, in ENGLISH MAGIC. Jeremy Deller, cit., pp. 82-97.

PADIGLIONE UK. JEREMY DELLER THE BEST

Come sfuggire all’art attak, usando gli stessi mezzi dell’attacco all’arte.

MAGIC ENGLISH è l’opera dell’artista Jeremy Deller, realizzata per il Padiglione della Gran Bretagna nella 55th International Art Exhibition-la Biennale di Venezia. È una installazione (in sei Stanze) di pitture, stendardi, video, fotografie, documenti fotografici storici, grafici, e proiezione del film English Magic (2013).

All’opera di Jeremy Deller hanno collaborato gli artisti Stuart Sam Hughes, Sarah Tynan, Ed Hall, e Scott King, da Eddie, Gaz, Neil, Jalee, Andy carcerati di HMP Everthorpe e Benno di HMP Shotts che hanno eseguito i disegni e ritratti, la Melodian Steel Orchestra di Londra. Vi sono esposti documenti fotografici delle rivolte di Londonderry e Belfast, diagramma del Tour attraverso l’Inghilterra e foto di David Bowie e del pubblico durante il Tour del 1972-72 Ziggy Stardust di David Bowie e documenti fotografici da “The Times” dell’epoca, documenti della Guerra Fredda dal Wende Museum Archive of the Cold War, fotografie di strumenti litici preistorici del Museum of London di James Gifford-Mead e Parisah Taghizadeh, il Membland Hall tile panel di William Morris dalla William Morris Gallery del London Borrough of Waltham Forest.

Alla destituzione dell’arte, in atto in questa Biennale e in spicchi significativi del Sistema dell’arte globale, per mezzo del rimescolamento delle carte di arte e non arte, accreditando i processi di sconfinamento dell’arte in infiniti media e luoghi dell’espressività individuale come legittima via libera alla stabilizzazione acritica e antipolitica della creazione artistica, si può resistere con questi stessi mezzi, purché sia lucida la consapevolezza dell’ambiguità e della pratica di strumentalizzazione di quel metodo.

Come già detto più sopra (1) e come si sa, il processo di sconfinamento della creazione artistica in infiniti media ed in infiniti campi è in atto da tempo e quando in “Potlach” nel 1956 Guy Débord (2) ne annunciava lo stato di fatto nel mondo dell’arte, sottolineava però che il confine tra mondo dell’arte e la società dello spettacolo era ben definito e poteva essere identificato grazie al, o nel, mode d’emploie da parte di un soggetto/artista responsabile. Per la ambiguità sfuggente e vampirica della società dello spettacolo, Débord diede un messaggio di disperazione alla fine della sua vita.

Jeremy Deller a mio avviso è il miglior artista di questa Biennale, proprio grazie al suo navigare nel doppio registro dello stato di fatto e nel suo mode d’emploie dei fatti così come sono. Ciò ha indubbiamente determinato – oltre a una generale positiva accoglienza del suo lavoro- anche delle stroncature o vere e proprie rimozioni (3). Ma questo non mi preoccupa, tanto deve essere stato difficile per alcuni riconoscere la sua ironica e nascostamente drammatica messa in scena della Gran Bretagna, che da lui si è fatta rappresentare nel suo padiglione nazionale alla 55° Biennale di Venezia.

Deller è un grande personaggio del mondo dell’arte inglese, mondo articolato e intelligente nei suoi processi di legittimazione dell’arte, tanto da aver dato il lasciapassare del Turner Prize nel 2004 (4) a lui che è stato sempre anti-artsystem nelle sue apparizioni fuori dai luoghi deputati. Deller è cute, e il suo vedere a occhi aperti l’intrico contraddittorio e ambiguo della società inglese alto e basso, dal lato politico e dal lato sociale, non gli ha impedito di farcelo vedere, mettendo i dati di fatto in correlazione tra loro.

Si è presentato però come non antagonista. In questa che è una “biennale della stabilità”, secondo i desiderata del neo-liberismo a scala globale di cui il suo paese è gran parte, Deller riesce tuttavia a mostrare – e la Gran Bretagna glielo consente– come la enunciazione stessa, nella forma strutturata e intenzionata dell’arte da parte dell’artista, dei dati di fatto passati e attuali, si possa considerare un potere trasformativo, in un modo che non è utopistico (impossibile disegnare un futuro utopico) ma previsionale di una reazione popolare che contrasterà il neoliberismo imperante (5) o almeno si scrollerà dei suoi devastanti effetti sociali.

Ha inoltre fatto fare, fatto realizzare alcune opere o parti delle installazioni anche ad altri artisti o a persone non artiste, insonorizzando complessivamente l’opera con le musiche del gruppo popolare dei Melodian Steel Orchestra di Londra. Egli è di quel mondo, impastato di tutto quanto lowculturally ed highculturally espresso.

Dati di fatto della cultura storica (William Morris, uno dei fondatori del socialismo inglese e del movimento delle Arts and Crafts) sono intricati con quella attuale (la truffa finanziaria operata da alcuni a danno dei cittadini nel passaggio dallo stato socialista Sovietico a quello privatista Russo); o volti in una memoria storica poppizzata, come il complesso preistorico di Stonehenge riprodotto in forma gonfiabile elevata su un tappeto elastico praticabile (6); dati di fatto della cultura popolare dello spettacolo (del desiderio e del piacere) sono articolati con quelli della cultura politica operaia e dell’autonomismo irlandese con le rivendicazioni dei diritti civili (ha fatto realizzare ed esposto una mappa del tour di diciotto mesi di David Bowie attraverso la Gran Bretagna dal gennaio 1972 al luglio 1973, mostrando punto per punto la coincidenza delle sue tappe  – che facevano sognare alle nuove generazioni una fuga o via d’uscita dalla realtà sociale, politica ed economica – con le repressioni sanguinose e con le battaglie sociali, politiche ed economiche intraprese nello stesso tempo dalla generazione dei loro padri, in quello che è stato un periodo di depressione economica, violenta reazione industriale e terrorismo).

Ma questo navigare nell’ambiguità per dare forma a una finzione di stabilità (dall’arte di Deller sono intrecciati e ben armonizzati il mondo pop del consumo culturale e del trash col mondo drammatico delle lotte sociali e della realpolitik) può consentire una via d’uscita o una apertura politica e critica allo stato delle cose?

Sì, lo dice splendidamente Hal Foster che presenta l’artista nel piccolo e prezioso nonché necessario libro/catalogo ENGLISH MAGIC e ne riporta attraverso quello che deve essere stato un fitto scambio di mail (ce lo dice lo stesso Foster) l’intenzione, il pensiero, il progetto.

Che significa english magic per Deller? Il quale pone tutto entro un largo interrogativo (non espresso, ma ricostruibile) sull’“inizio e fine del socialismo/comunismo come li conosciamo”? Se magic è nei dizionari definita la abilità di influenzare il corso degli eventi attraverso forze misteriose e soprannaturali e tali forze sono evocate dall’artista come credenze popolari o mitologiche (Stonhenge, i druidi, etc), con magic e english insieme Deller vuole evocare “le mitiche qualità della cultura popolare e la capacità di narrazione, specialmente in musica”. Tanto che nella Conversazione tra l’artista, un amante dell’arte e il direttore di museo (7) mette in scena attori dei mondi separati dell’arte, del sistema dell’arte e della vita. Parlano infatti fra loro del lavoro che può fare l’arte (cioè l’uomo/artista, insieme all’uomo/istituzione e all’uomo/uomo, l’uomo comune) il neodirettore di Tate Modern Chris Dercon, l’artista Jeremy Deller e il tassista di Londra John Paul Lynch.

Magic è anche il continuo ingannarci dei politici, e l’abilità finanziaria di trasformare risorse pubbliche in profitti privati: che può fare l’arte per interrompere tale magia, tale stregoneria? Infatti, se tutti sappiamo e vediamo come funziona quella magia e che male ci fa, perché siamo impotenti ed inefficaci contro di essa? Che può fare l’artista con l’arte?

Deller è forse il primo artista a tentare un nuovo racconto, un nuovo modo di fare la storia e di farlo con l’arte, non più per generi o per campi, non lineare: nelle sei stanze che compongono l’English Magic Deller fa il combine-teller (un Kurt Schwitters della post-histoire), veramente bizzarra la rottura delle unità di tempo (si intrecciano presente e passato, documentary- e fictitious- images, tempo privato e tempo pubblico), di luogo (Local/Global) e la combinazione delle modalità di rappresentazione (pittura, disegno, video, grafici, stampa) includendo anche la parziale rinuncia alla autorialità (molte immagini e parti dell’opera sono realizzate e firmate da altri, artisti e non). È in ogni caso l’artista Jeremy Deller che ha istituito la peculiare combinazione narrativa chiamata English Magic.

Ma quest’opera, questa combine-narrative, nella sua ambiguità e magia infinita, composta di dati di fatto e di frammenti non ci è presentata come un dato, tanto meno come un sistema conchiuso e parlante (per quanto bizzarramente): ci obbliga a interrogare i frammenti e dati, le didascalie e i nomi, le date e le singole scansionate parole, e come farlo?

Il primo è stato certo Hal Foster, cui è attribuita l’interpretazione numero 1 (e lo ha fatto anche interrogando via e mail l’artista), e se leggiamo il piccolo catalogo, dopo averlo acquistato. Ma nemmeno questo è sufficiente. Quest’opera non oggetto, non storia, non arte secondo alcuni falsi correnti luoghi comuni, rovescia l’idea filosofica per cui l’arte è un oggetto che crede di essere un soggetto, dichiara che l’arte è un soggetto che accetta di essere se stesso e per esserlo deve essere noi altri. E noi altri possiamo essere noi stessi: ad esempio, per questa volta, entrando nella sua combine history ed uscendone – per forza – per le infinite tracce ed uscite che egli ha posto in direzione della realtà presente, di quella passata e forse di quella a venire: noi diventiamo interpreti/attori di un presente continuo.

E possiamo farlo, anche noi non british, usando quello stesso strumento o quella stessa condizione ambiguamente positiva/negativa dell’interconnessione globale: cercare <Harrowdown Hill>, <Thom Yorke>, <Smallgantics>, <HPM EVERTHORPE>, <David Kelly>, <biological warfare>, <William Morris>, <historical reenactment>, <living history>, eccetera.

Dall’alto:

Jeremy Deller, A Good Day for Cyclists, dipinto da Sarah Tynan, 2013, 55. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE la Biennale di Venezia, Padiglione Gran Bretagna.

Jeremy Deller, We Sit Starving Amidst our Gold, dipinto da Stuart Sam Hughes, 2013, 55. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE la Biennale di Venezia, Padiglione Gran Bretagna.

Jeremy Deller, Ooh-oo-hoo ah-ha ha yeah, 2013. veduta dell’installazione, 55. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE la Biennale di Venezia, Padiglione Gran Bretagna.

Jeremy Deller, St Helier on Fire 2017, dipinto da Stuart Sam Hughes, 2013, 55. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE la Biennale di Venezia, Padiglione Gran Bretagna.

Jeremy Deller, Bevan Tried to Save the Nation, installazione + documenti d’Archivio, 2013, 55. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE la Biennale di Venezia, Padiglione Gran Bretagna.

 Jeremy Deller, Diagramma di Ziggy Stardust Tour di David Bowie attraverso la Gran Bretagna , 2013, veduta dell’installazione, 55. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE la Biennale di Venezia, Padiglione Gran Bretagna.