Patria interiore / Inner Homeland             

a cura di Manuela Pacella

Artisti: Alessandro Cannistrà, Ilaria Loquenzi, Emiliano Maggi, Stefano Minzi, Luana Perilli, Moria Ricci, Alessandro Rosa, Beatrice Scaccia

Golden Thread Gallery- Project Space                                     

Belfast (Irlanda del Nord)                          

1-24 marzo 2012

“Non è inutile un po’ d’insonnia per apprezzare il sonno, per proiettare un po’ di luce in quella notte. Una memoria senza cedimenti non è un eccitatore molto potente per studiare i fenomeni di memoria.”

[M. Proust, Sodoma e Gomorra, Quarto volume de “Alla ricerca del tempo perduto”, Tomo 1]

 

Le immagini della memoria, oltre che essere rievocazioni del passato, suggeriscono sentimenti tanto personali quanto universalmente leggibili, a dimostrazione che esiste una materia emozionale comune a tutti gli esseri umani.

Nel suo mettere a confronto gli artisti con la propria interiorità, la curatrice Manuela Pacella attua una scelta coraggiosa, perché si espone al rischio di veder etichettata Patria Interiore come una mostra semplicisticamente tematica. In realtà, la collettiva di otto artisti italiani che ha esposto nel Project Space della Golden Thread Gallery di Belfast dal 1 al 24 marzo scorso raccoglie un’eredità importante: pone come elemento centrale il contatto mai cessato (ma spesso negato) degli artisti con la propria memoria involontaria, la stessa che rende il meccanismo del ricordo un processo produttivo e non solo rievocativo.

Il legame personale della curatrice con Proust e con i temi della memoria (privata e non), portati alla luce anche attraverso la fotografia storica, aiuta a comprendere il motivo di una scelta simile; tuttavia, non meno importante è il riferimento ad Alina Marazzi, che impiega i video amatoriali della propria famiglia nella rielaborazione del dolore causato dalla perdita della madre. In Un’ora sola ti vorrei la regista analizza i riferimenti cronologici ed entra nella vita della propria famiglia da “voyeur”, forzando attraverso la sua ricerca un passato che le era precluso e dando vita ad un film che ha vita propria.

È lo stesso meccanismo che si verifica in Patria Interiore, una mostra dove il dato autobiografico è funzionale all’espressione di una creatività innegabile, e dove le opere si rivelano profondamente diverse ma sottilmente legate da un fil rouge che crea un percorso efficace nella rappresentazione dei diversi modi che hanno gli artisti di leggere dentro di sé.

La divisione degli artisti in tre filoni tematici, che la curatrice ha sviluppato nel corso della mostra, aiuta a comprendere le peculiarità di ognuno. In Moira Ricci, Stefano Minzi, Luana Perilli e Beatrice Scaccia l’approccio autobiografico viene inteso in modo più esplicito e le opere diventano veicolo di ricordi comuni di grande impatto emotivo sullo spettatore. Se il leitmotiv di Moira Ricci non si distacca molto da quello di Alina Marazzi (entrambe fanno i conti con la perdita della figura materna), nelle 4 fotografie della serie 20.12.53 – 10.08.04 Ricci rievoca la memoria di sua madre attraverso un uso inedito del mezzo fotografico, “entrando” nelle immagini dove lei era presente e creando un dialogo ambiguo tutto interno all’opera fotografica.

La rielaborazione di un trauma infantile è al centro dell’opera di Stefano Minzi, un artista che orienta il suo lavoro verso tematiche politiche (Villa Certosa, 2009), ma anche sul recupero delle foto di famiglia. L’opera che espone, 18 (la lune) del 2010, prosegue la ricerca già iniziata dall’artista nel 2008-2009 con Family Game. Nel video Ricreazione (recess) del 2011, Luana Perilli restituisce gli interni di una scuola romana, interni nei quali non si avverte la presenza dei bambini che normalmente li abitano ma dove gli oggetti prendono il sopravvento. Il valore simbolico attribuito agli oggetti è una caratteristica comune a Beatrice Scaccia, che nella videoanimazione At least a snake rende partecipi gli spettatori di stati d’animo ed esperienze passate attraverso l’identificazione con Eve, protagonista del testo della canzone da cui è tratto il titolo dell’opera.

Se in questi artisti l’autobiografismo diventa il contatto più puro con la propria interiorità e rivela la volontà di instaurare un rapporto privo di filtri con se stessi ma anche con gli altri, Ilaria Loquenzi ed Alessandro Rosa trasferiscono l’attenzione su un piano impersonale, escludendo intenzionalmente l’emozione e rifiutandosi di partire dalla propria storia personale nel creare le proprie opere.

Alessandro Rosa interpreta il tema Patria Interiore (che è anche il titolo dell’opera) su un piano scientifico, proponendo una videoproiezione in cui tenta di riprodurre il cervello umano quando viene stimolato dai sensi. L’opera mostra l’evidente contrasto che si verifica quando si tenta ad ogni costo di dare una spiegazione scientifica a fenomeni non dimostrabili, quali ad esempio la memoria involontaria. Ilaria Loquenzi intende rappresentare, più che la memoria personale, quella collettiva, e lo fa attraverso gli oggetti apparentemente più anonimi e impersonali dell’ambiente cittadino: gli alberi. Nell’opera Memorie silenziose vengono decomposti fotograficamente e riassemblati tre alberi secolari di Roma, i quali diventano portatori di un doppio messaggio: l’essere stati testimoni della storia della città e allo stesso tempo il loro essere abbandonati ad uno stato di incuria, per la loro presenza “silenziosa”.

Il legame con la natura, inteso come anello di congiunzione ancestrale tra l’uomo e la sua presenza nel mondo, diventa lo spunto per le ricerche di Alessandro Cannistrà ed Emiliano Maggi. Nelle opere di Cannistrà, che inizia come pittore di paesaggi e in particolar modo di alberi, il processo mnemonico di partenza assume un ruolo importante: nel suo È (It is), non è il bosco che viene rappresentato attraverso il medium della fuliggine, ma il ricordo di esso. Emiliano Maggi esprime nella sua variegata attività di artista il rapporto ancestrale tra l’uomo e la natura animale. Savage Cry Blood è un’opera complessa nella quale viene rievocato un antico gesto dei nativi americani, etnia alla quale l’artista si sente profondamente legato. Il gesto in questione è un gesto liberatorio, emblema del dolore inteso come elemento necessario per il raggiungimento della salvezza, per una liberazione dello spirito.

L’attivazione di una memoria produttiva è evidente in Moira Ricci attraverso un’analisi del passato funzionale alla comprensione di sé, ed in Emiliano Maggi nell’accettazione del concetto proustiano di provare dolore per rinascere. In chiave generale, tutti gli artisti protagonisti di Patria Interiore hanno fatto proprio uno “sguardo” nettamente soggettivo, che li allontana da una restituzione puramente autobiografica del proprio vissuto e della propria interiorità.

La curatrice e ideatrice della mostra, Manuela Pacella, ha creato un’occasione per mettere a confronto artisti dalle personalità diverse ma anagraficamente coetanei, con la volontà di recepire le differenti interpretazioni del tema della memoria di una generazione di artisti nata nella seconda metà degli anni Settanta. In quest’ottica si pone la sua scelta di far seguire alla mostra la pubblicazione di un catalogo-libro, che uscirà il prossimo maggio con Nero Edizioni. Il catalogo si dividerà in 2 sezioni: la prima dal titolo Patria Interiore, documentativa della mostra, raccoglierà, oltre alle immagini delle opere esposte, il testo critico della curatrice e un estratto da una conversazione avvenuta con Giuseppe Di Giacomo (docente di Estetica alla Sapienza) su Proust. La seconda sezione del catalogo-libro approfondisce il tema della ricerca interiore e si intitolerà Intermittenze del cuore. Il titolo è proustiano e ed è quello di un breve paragrafo di Sodoma e Gomorra nel quale è narrato uno degli episodi di memoria involontaria più importanti della Recherche. Questo capitolo verrà sottoposto agli otto artisti e a due guest artists: Peter Richards, direttore della Golden Thread Gallery di Belfast, e Brian Kennedy, artista nordirlandese. Dalla lettura di questo paragrafo gli artisti elaboreranno qualcosa che sarà in bilico tra opera d’arte e memoria privata; la forma in cui trasferiranno le loro impressioni in questa sezione (testo, opera d’arte), è assolutamente libera.

Le opere della mostra Patria Interiore sono in grado di creare un collegamento non superficiale oltre che con l’interiorità di chi le ha create anche con quella di chi le osserva e il coinvolgimento personale dell’artista, ma anche dell’osservatore, non è altro che il livello più profondo di fruizione di un’opera d’arte.

 

 

 

Dall’alto:

Ilaria Loquenzi, Memorie silenziose: Pino Romano di Monte Mario; Mandorlo di Viale Mazzini; Platano di Piazza Barberini, 2012, montaggio fotografico, matita, carboncino e acrilico su carta, 40×30 cm. ciascuna.

Emiliano Maggi, SAVAGE CRY BLOOD – IL SELVAGGIO PIANGE SANGUE, 2012, installazione con scultura in cera, specchi, luce strobo e audio all’interno di un parallelepipedo a base prismatica della misura di 170x55x50 cm. ca.

Emiliano Maggi, SAVAGE CRY BLOOD – IL SELVAGGIO PIANGE SANGUE, 2012, installazione con scultura in cera, specchi, luce strobo e audio all’interno di un parallelepipedo a base prismatica della misura di 170x55x50 cm. ca., particolare interno.

Stefano Minzi, 18 (la Lune), 2010, xerox transfert su carta,118,5×161 cm. (18 fogli di carta Hanemülle, 39,5 x26,5 cm. ciascuno). 

Luana Perilli, Ricreazione (recess), 2011, video in stop motion. Courtesy The Gallery Apart, Rome (IT).

Moira Ricci, 20.12.53-10.08.04 (work in progress). Autoritratto, stampa lambda su alluminio, 15×15,81 cm.; Mamma con fratelli e cugina, stampa lambda su alluminio, 20×13,37cm.; Gemellini, stampa lambda su alluminio, 21×15 cm.; Mamma con Donatella, stampa lambda su alluminio, 21×13 cm. Courtesy Galleria LaveronicaArte Contemporanea, Modica (IT).

Allestimento di Patria Interiore alla Golden Thread Gallery, Belfast.