Presenze video-soniche. Castello della Cervelletta, Roma.

Dal 2 al 7 giugno 2007.

A cura di Veronica D’Auria.

Artisti: Nicola Bettale, Robert Cahen, ELASTIC Group of Artistic Research, Cristiano Ramunno, Laura Santamaria, Lino Strangis, Studio Azzurro.

www.lemomoelectronique.com

Un castello infestato da presenze video-soniche. Quattro giovani artisti affiancati da video-makers di rilievo internazionale. E un invito a guardare il reale da un’angolazione diversa, alla ricerca di un senso altro nell’immaginario quotidiano. Questi i punti salienti della lodevole iniziativa promossa e ideata da Le Momo Electronique – gruppo postosi alla guida di alcuni giovani laureandi del corso per curatori di eventi artistici e culturali dell’Università La Sapienza – e realizzata al Castello della Cervelletta, contenitore storico che diviene insolito spazio espositivo per lavori dal linguaggio e dalle tematiche tutte contemporanee.

Le opere in mostra non abitano così un white cube dall’aspetto asettico ed imparziale, ma un luogo assolutamente “vero”, che amplifica le percezioni dello spettatore interagendo con le installazioni sonore e visive. È il caso del lavoro di Lino Strangis e Cristiano Ramunno dal titolo TK757, traccia sonora che anima il cortile con continue variazioni tonali, diffondendosi poi all’interno come una presenza esterna che si insinua negli spazi per farli propri.

Ed è anche il caso dell’intervento site specific Supernatural Chance dello stesso Lino Strangis: un piccolo monitor inserito in una nicchia nei sotterranei del castello, trasmette uno dei suoi Video-Carillon realizzato a partire da una ripresa dello scenario a ridosso dello stesso luogo espositivo. Lo spazio è cupo, inquietante, illuminato da sole fiaccole; il sotterraneo diviene metafora della sterilità di un approccio al mondo unilaterale, basato su di un banale ragionamento per luoghi comuni. La nicchia si presenta quindi come alterità possibile, mentre il video pone in evidenza il continuo mutare degli eventi, con lo stesso frammento temporale che si propone in maniera sempre diversa grazie alle continue metamorfosi digitali. L’assenza di aria e luce diviene presenza grazie alle immagini trasmesse sul monitor, che si trasformano così in valvola di sfogo e occasione per guardare oltre. Allo stesso tempo, il sonoro claustrofobico del video assume un valore indicale al di fuori del castello, segnalando che all’interno sta avvenendo qualcosa. A completare l’installazione, una “foto-video-pittura” che ritrae lo stesso paesaggio, fotografato non dal vero, ma dallo schermo stesso, che conferisce alla resa effetti luministici particolari e un viraggio di colori acido ed irreale. L’antitesi e sintesi del gioco dialettico tra presenza e assenza si fa motivo conduttore dell’intero evento espositivo, dagli edifici dismessi del Trittico Marghera di Studio Azzurro, intervallati da immagini-documento del porto un tempo in piena attività, passando per le stratificazioni corporee e temporali nei lavori di Laura Santamaria, fino ai paesaggi spettrali ed incontaminati della Cina ripresa da Robert Cahen. Questo gioco di risonanze tra un’opera e l’altra, enfatizzato dalla particolarità dello spazio espositivo, mostra come la scelta dei lavori e degli artisti risponda ad un progetto ben specifico: scoprire come nell’osservazione del reale si nascondano tante “visioni”, alimentate dal dato oggettivo ma mai pienamente corrispondenti con esso. Non si tratta della semplice manipolazione del reale, così come dal saggio di Nicolas Bourriaud (Postproduction, 2004), ma di una re-interpretazione che tocca parimenti relativismo e convenzione. Emblematici a questo proposito gli scatti di Nicola Bettale, aventi per oggetto delle semplici bottiglie viste da angolazioni sempre diverse, tali da renderne irriconoscibili le fisionomie. Un oggetto banale diviene il punto di partenza per una ricerca sulle potenzialità del mezzo fotografico, in linea con la più storicizzata “fotografia soggettiva” (basti pensare ai peperoni antropomorfi di Edward Weston). La ricerca di una bellezza formale celata nell’oggetto quotidiano non è però fine a se stessa; nell’acqua “intrappolata”, infatti, Bettale legge una similitudine con la dimensione esistenziale dell’uomo, costretto a confrontarsi con una società all’apparenza trasparente, ma sempre ed inevitabilmente condizionante.

Il dialogo tra interno ed esterno si ripropone nell’installazione foto-sonora di Cristiano Ramunno, dove ad assumere importanza è l’incrocio, inteso come luogo fisico ma anche come crocevia di incontri e possibile scambio di esperienze. Due fotografie si confrontano in un angolo della sala espositiva, mostrando lo stesso luogo urbano in maniera speculare. A queste fa eco una registrazione di suoni e rumori di interno, che sposta l’attenzione dalla dimensione pubblica della strada a quella privata dell’abitazione. L’accavallarsi di due dimensioni in contrasto si offre come spaccato della vita quotidiana, mostrando come anche nei gesti più comuni si nasconda un modo personale di vivere e percepire il presente. Ambientazione pubblica è anche quella dei lavori di Laura Santamaria, che ritrae scene affollate in cui, però, si assiste ad uno sviluppo temporale diacronico, non sincronico. La composizione è infatti frutto del sovrapporsi di diversi punti di vista della stessa barca, che porta i soggetti ad assumere la forma di presenze evanescenti, perfettamente integrate con il taglio “spettrale” dato alla mostra. Proprio “spectrum” è il termine usato da Roland Barthes per designare colui che viene fotografato, sottolineando come la condizione della fotografia (e poi del cinema e del video “figurativo”) sia quella di mostrare come presenza ciò che ormai è assente. In relazione al tema espositivo, però, non si tratta di un semplice “è stato” (come scriveva Barthes) bensì di “ qualcosa che non è, non è mai stato altrove se non nell’opera stessa: si tratta quindi di una forma di “pura presenza”, una realtà altra che si fa superfetazione della realtà sovrapponendosi ed ampliando la dimensione del quotidiano ” [Lino Strangis].

Le stampe della Santamaria sono posizionate sul pavimento ed integrano lo spettatore nella scena rappresentata sotto forma di riflesso, invitandolo a prendere parte ad un muto dialogo, indice di come la convivenza di persone diverse non si traduca sempre in scambio relazionale.

Alle opere di questi giovani artisti si accompagnano i lavori-video dei nomi più conosciuti: il sopraccitato Trittico Marghera (2000) di Studio Azzurro si impone per la forza espressiva del montaggio e per la scelta della triplice visione, che scandisce un tempo ritmato da velocità diverse. Il continuo confronto tra silenzio e caos, tra spazi vuoti e luoghi animati, si offre come indagine poetica di ciò che era ed è il porto veneziano, tra reminiscenze visive dei coniugi Becher e angolazioni ardite dal sapore costruttivista. Triplice è invece il significato dell’intervento degli Elastic Group of Artistic Research, T-RAUM-A; traumatici sono i racconti dei personaggi del video, con diverse lingue straniere che si accavallano fino a rendersi irriconoscibili. Ma il riferimento è anche alla dimensione onirica (Traum è “sogno” in tedesco) e a quella fisica (Raum, spazio) che si intrecciano connotando metaforicamente la stalla che fa da luogo espositivo, invasa dal fascio di luce verde che completa la video-installazione. Infine le Visioni fuggitive di Robert Cahen (1995) raccontano di un viaggio in Cina alla scoperta di immensi paesaggi e di intensi rituali, con l’obiettivo di far parlare la propria esperienza, più che le proprie conoscenze, e mostrando così una Cina “altra”, rivista attraverso le percezioni dell’autore.

Completa il percorso espositivo la presentazione del video-trailer di Pycta, spettacolo multimediale realizzato da Altroequipe, con performers che, muovendosi a ritmo di danza, contribuiscono alla creazione di una scenografia digitale, suggestiva e dal carattere multisensoriale.

La mostra appare così un continuo viaggio attraverso i meccanismi della percezione e i differenti punti di vista insiti nell’approccio al quotidiano. In un succedersi di forme, luci e suoni, il castello si trasforma in luogo vivo e pulsante, rivalutato nella sua essenza “spettrale” e pronto a trasformarsi in nuovo spazio culturale, grazie all’impegno di chi ha voluto vedere in questa iniziativa un momento di confronto, ma anche un’occasione di promozione dei giovani artisti e di divulgazione di contenuti critici.

Dall’alto:

Nicola Bettale, Rifler, 2006, fotografia digitale, stampa lambda su alluminio, dal ciclo Sub aquea.

Robert Cahen, Sept vision fugitives, 1995, video.

Elastic Group of Artistic Research, T-RAUM-A, installazione site specific (2007), particolare dal video (2005).

Cristiano Ramunno, Doppia visione -incroci di sensi -, 2007, installazione foto-sonora.

Laura Santamaria, Hippies, 2006, installazione fotografica (stampe lambda su alluminio).

Lino Strangis, Supernatural chance, 2007, installazione site specific.

Studio Azzurro, Trittico Marghera, 2000, video sincronizzato.