Presso la Chiesa di Santa Maria della Salute di Viterbo si è tenuta una rassegna di video curata da Sergio Edelsztein (direttore del Center for Contemporary Art di Tel Aviv).
Il filo rosso che lega in un percorso coerente tutti i video presentati in questa occasione, è il tema della manipolazione delle immagini dei soggetti coinvolti, usate come propaganda dai politici, abusate dai media nei messaggi quotidiani. Non sono tanto i significati ad interessare i nostri artisti ma le immagini stesse, che, rubate ai media e alla propaganda politica, vengono decontestualizzate, dando loro una diversa lettura. Il tema dell’allontanamento degli israeliani dai valori che per cinquanta anni li avevano legati e resi forti e compatti, pervade le opere degli artisti, l’impossibilità di vedere la fine del conflitto, i problemi dei rifugiati palestinesi, la ferita aperta degli insediamenti nei territori occupati, sono troppo forti per non essere presenti. I valori del passato che hanno portato lo stato di Israele come adesso, sono stati, per i nostri artisti, superati e avvelenati dalla realtà, dalla mancanza di programmi politici che possano portare a soluzioni reali.
La narrazione inizia con il video di Aylet Ben Porat, TMB che mescola a ritmo di tecno-music, le immagini del festoso arrivo degli ebrei a Gerusalemme dopo 2000 anni di diaspora, ed i rifugiati palestinesi che partono per l’esilio, con incalzanti ripetizioni ed accelerazioni, a segnare le origini storiche del conflitto.
La canzone patriottica degli anni ’50, Oh Fortress of Mine, viene polemicamente scelta come base e titolo da Alona Friedberg e Limor Orestein. Infatti, questo motivo che ricorda agli artisti la loro infanzia protetta ed il sentimento di unità e potere di quegli anni, adesso suona diversamente e sembra sottolineare la frattura con i valori radicati del passato e la quotidiana presenza del conflitto.
Il Mossad, la Forza Israeliana della Difesa, si trasforma nel lavoro di Ruti Sela, Una Proyeccion Solamente, in una banda di punk anarchici, che compie ridicole parodie di azioni militari, sovvertendo il convenzionale ruolo dell’esercito dipinto dai media, sullo sfondo di una sconcertata città spagnola.
Una diversa immagine degli israeliani ci fornisce Elyas Kowner, in Dad Explains About Weapons and Numbers, facendo leggere con entusiasmo al padre, sopravvissuto ad Auschwitz, una rivista di armi polacca in cui si parla di una arma segreta e letale israeliana. Ricordando il numero dei morti della seconda guerra mondiale, causati dalle armi, profila una immagine degli israeliani come di una superpotenza militare. Boaz Arad, in An Immense Inner Peace, con una maschera di Adolf Hitler, si trasforma in uno storico dell’arte e dell’architettura e con pacata professionalità analizza sia le tele di Eagle’s Nest che le toilettes di Auschwitz, apprezzandone la simmetria.
I discorsi elettorali con la promessa della fine del conflitto arabo-israeliano, di Barak e Sharon, vengono manipolati e mescolati a spot pubblicitari della candeggina e della lotteria, e agli interventi della polizia durante le manifestazioni tra le fiamme quasi infernali, da Isaac Laysh e Irit Garty in Come Back Home.
In una sorta di Candid Camera, Effie & Amir, montano una inedita immagine dei cheeck-points, in Cheeck It, dove la visuale passa dalle forze militari alla telecamera nella borsa, dando una lettura capovolta della situazione, il suono della zip diventa un rap, il video denuncia la situazione della sicurezza israeliana.
Dana Levi, dopo la battaglia di Jenin visita, guidata da due bambini, quanto rimane, i bambini la accompagnano facendole da ciceroni assorbiti da questo gioco che li fa sentire importanti, sotto il braccio di uno dei bambini rimane per tutto il tempo il manifesto commemorativo di uno “Shahid” un martire, forse un uomo bomba. Un bambino sorridente in mezzo alle rovine con un manifesto commemorativo rappresenta per la regista di Hell’s Angels la sua realtà.
La preoccupazione dei genitori per i figli è il tema sviluppato da Doron Salomons in Father, il padre che è sia palestinese che israeliano, che parla insieme arabo ed ebreo, nel tentativo di difendere i figli si trasforma in mago ed è costretto a mentire, ma la realtà vince ed il mentitore è trasportato via da un robot.

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