È un lungo tunnel sospeso nel vuoto, illuminato da ampie finestre panoramiche, al terzo piano di un edificio seicentesco, costruito per ospitare la pinacoteca di Carlo Emanuele I, duca di Savoia. Si chiama la Manica Lunga, dal 1998 è la nuova ala del Museo d’Arte Contemporanea Castello di Rivoli e fino al 3 agosto ospita I Moderni, una mostra curata da Carolyn Christov-Bakargiev che raccoglie le opere di artisti di varia provenienza geografica (ci sono pure due italiani e altri due nella sound section, evviva!). Non sono quadri, acquistati secondo i criteri estetici soggettivi e indiscutibili del committente e riservati al suo privato godimento, talvolta esteso a parenti e amici, ma sculture, installazioni, ambienti, video e anche una colonna sonora curata da Antony Hubermann, che documentano in modo multimediale e plurisensoriale un cambiamento in atto in un particolare segmento di realtà storica, quello in cui viviamo. Secondo gli intenti oratoriali “è una delle prime esposizioni internazionali a sottolineare i modi in cui gli artisti prendono le distanze da molta arte postmoderna che ha caratterizzato la fine del ventesimo secolo”. Oggetto di riflessione è la grande utopia modernista del secolo scorso, quella forte spinta propulsiva verso un mondo migliore, che crede nel progresso scientifico e tecnologico e guarda al futuro con spirito costruttivo e positivo. Un punto e a capo che chiude un’epoca per aprirne una nuova in cui predomina “un nuovo senso dell’agire“, riscontrabile anche nel lavoro degli artisti definiti come The Moderns, ciascuno di quali è invitato a citare la sua fonte attinente all’idea di modernità, riportata in catalogo contestualmente alla presentazione delle opere. L’antologia, molto ricca e variegata, culmina con la Dichiarazione d’Indipendenza della Repubblica Democratica del Vietnam (1945), a latere di Felice anno nuovo – Progetto per un monumento al Vietnam II di Jun Nguyen-Hatsushiba, un monumento alquanto inusuale, riferito a un fatto storico realmente accaduto, rappresentato attraverso una danza subacquea tra un drago e un attrezzo circolare che lancia capsule di colore. Il percorso prosegue con le maschere apotropaiche fatte di scarpe da ginnastica di Brian Jungen, il rotolo di carta igienica accuratamente ripiegato e sistemato su un piedistallo da Tom Friedman, la sequenza sulle finestre di un ristorante di Berlino situato su una piattaforma girevole all’ultimo piano del Fernsehturml, nel film di Tacita Dean, la stanza di Massimo Bartolini che diventa una piattaforma di lancio nello spazio, con finestra sul cielo e il rumore dell’acqua che esce a contrario. Il più modern di tutti potrebbe essere Simon Starling, che ha già omaggiato più volte i padri fondatori del modernismo e presenta The Black Stack, una torre di trentadue sedie impilate, a metà strada tra i progetti irrealizzati di Tatlin e le Twin Tower.