Mostra una e trina, quella ideata da Danilo Eccher per la sede centrale di Macro, nella quale, accanto ad uno dei mostri sacri della scultura contemporanea, Tony Cragg, compaiono tre rappresentanti della generazione più giovane di artisti: gli inglesi Cecily Brown e Simon Starling e l’italiana Sissi.
Difficile capire quale sia il fil rouge che unisce questi quattro artisti, diversi fra loro sotto quasi ogni aspetto – ivi compresa la qualità delle opere – ma probabilmente l’intenzione era proprio quella di mostrare quattro approcci al fare artistico fra loro profondamente divergenti: mentre l’interesse dello scultore Tony Cragg si concentra principalmente sulla sperimentazione dei vari materiali, che in relazione alle loro caratteristiche intrinseche sembrano dare corpo in maniera quasi autonoma a forme diverse, l’opera di Simon Starling riguarda essenzialmente le tecniche e le tecnologie che consentono la manipolazione dei materiali stessi, sia che li pieghino a diventare oggetti di uso comune, sia che li trasformino, come avviene nell’opera presentata a Macro intitolata Made-Ready, in copie di elementi naturali. Sissi, giovanissima artista bolognese, preferisce invece cimentarsi nella performance dal vivo, come quella eseguita il 6 giugno, giorno dell’inaugurazione, all’interno galleria vetrata che unisce i due corpi di fabbrica di Macro, ed intitolata semplicemente “T”. Cecily Brown, infine, utilizza tecniche più tradizionali, come l’olio su tela e la gouache, per ripercorrere ironicamente l’arte del passato od indagare erotismo e sessualità senza falsi pudori, ed anzi, quasi sfacciatamente.
La mostra che s’impone maggiormente all’attenzione del visitatore è, anche per le dimensioni, quella dedicata a Tony Cragg, che ripercorre gli ultimi 10 anni della produzione attraverso una trentina circa di opere diverse fra loro per materiali e concezione. Benché una buona parte delle sculture sia realizzata in vetro, ed incentrata sul tema della trasparenza, la via sperimentale di Cragg si cimenta anche nella manipolazione e trasformazione dei materiali più diversi, quali legno, cera, bronzo, o nell’utilizzo di oggetti e parti di oggetti di uso comune riassemblati e trasformati in entità altre.
Nelle sculture realizzate con materiali vetrosi (come Pacific, del 1998 o Clear Glass Stack, dell’anno successivo) l’intervento dell’artista consiste soprattutto nell’assemblaggio di diversi oggetti per creare composizioni e forme nuove, grandi parallelepipedi composti da decine e decine di bottiglie, boccette e contenitori di vetro di ogni forma e dimensione.
Quando invece utilizza altri materiali, come ad esempio nelle grandi sculture collocate nel cortile all’ingresso del museo (Species, Early Forms o Body Motions, tutte del 2001), per le quali ricorre rispettivamente al carbone, al bronzo ed al marmo turco bianco, le forme, vagamente biomorfe, sembrano essere state suggerite all’artista dalla materia stessa o nascere direttamente da essa, quasi vi fossero insite da sempre, ed evocano una fase embrionale e forse magmatica della vita, quali esseri colti nei primi attimi della generazione oppure in un momento transito tra una forma e l’altra. Di grande interesse anche la serie di lavori di minori dimensioni nei quali, come in anamorfosi scultoree, profili umani sorgono e scompaiono quasi magicamente al mutare dell’angolazione dello sguardo, costringendo l’osservatore a ruotare intorno all’opera, scoprendone man mano i diversi aspetti, alla ricerca, come in un gioco enigmistico, del volto nascosto, che sembra apparire sempre da angolazioni inaspettate.
Il lavoro di Simon Starling, diversamente da quello Cragg, le cui sculture sembrano, nonostante l’estrema complessità tecnica dei procedimenti di realizzazione, quasi farsi da sole, è invece incentrato maggiormente sugli aspetti che riguardano l’intervento dell’uomo e della tecnologia umana sui materiali: non per nulla una delle opere in mostra si intitola proprio Made ready, a mettere l’accento, quasi in un rovesciamento del ready made duchampiano, sui processi di fabbricazione dell’opera. Al punto da rielaborare anche ciò che originariamente era opera della natura, trasformandolo in un frutto dell’ars o della teknè umana: così avviene per i modelli botanici in metallo realizzati ai primi del Novecento dal fotografo e naturalista tedesco Karl Blosfeldt, che vengono qui riprodotti in alluminio ed inseriti all’interno di vetrine che richiamano contesti didattico-museali. L’affiancamento con oggetti tipicamente artificiali, quali una poltroncina da ufficio ed i pezzi di una bicicletta fanno emergere sorprendenti somiglianze fra la struttura delle piante riprodotte e la forma del telaio e dei raggi della bicicletta il cui metallo è stato utilizzato per realizzarle.
In questo senso ancora una volta il titolo di una delle opere, Bridge, costituita da due parti simmetriche di bicicletta, è illuminante: sia perché le due parti di bicicletta collocate all’ingresso della sala sembrano congiungersi in un immaginario ponte, sia soprattutto perché i pezzi della bici possono apparire come un ponte ideale fra la creazione umana e la creazione naturale. Di Cecily Brown sono invece presentate diverse opere pittoriche (Figures in a Landscape I, These Foolish Things, Black Painting, Overbite, Bacchanal, Fracas), una decina di gouaches realizzate espressamente per Macro ed ispirate alla serie della Carriera del Libertino (The Rake’s Progress) di William Hogart, ed un video del 1995, Four letter heaven. Tema comune è l’esplorazione e la rappresentazione della sessualità, effettuata sia in maniera pienamente esplicita come nel video, realizzato con un montaggio di acquerelli e disegni che rappresentano l’atto sessuale nelle sue varianti, sia in maniera più allusiva, come nei dipinti di grandi dimensioni, dove le figure esplodono in una miriade di frammenti color carne sullo sfondo di paesaggi che si intuiscono o si immaginano idilliaci. È dichiarato ed esplicito il richiamo alla pittura tardo barocca e settecentesca, evidente in particolar modo nei colori, nei tenui rosa della carne, nei verdi e negli azzurri delicati, distribuiti sulla tela in un caleidoscopio di pennellate vigorose, quasi che l’esplosione a cui sono state sottoposte le forme avesse portato allo scoperto il contenuto erotico di certe scene di Fragonard o di Watteau, se non, addirittura, di Rubens.
Molto meno interessante infine, la performance della bolognese Sissi, che dall’interno di un grande parallelepipedo di gommapiuma rosa carne, abraso e mangiato all’esterno, crea, appoggiandosi alle pareti e tirando o spingendo, movimenti sussultori o ondulatori, fino a farlo scivolare da un lato all’altro del breve corridoio vetrato in cui è collocato.

 

Tony Cragg, Cecily Brown, Simon Starling, Sissi
da 6 Giugno al 7 settembre 2003
Museo di Arte Contemporanea di Roma (MACRO)
via Reggio Emilia, 54
Tel. 06.6710 7900
sito web:www.comune.roma.it/macro e-mail: macro@comune.roma.it
da martedì a domenica 9.00 – 19.00, festività 10-14, (lunedì chiuso)

Dall’alto:

Cecily Brown, These foolish things, 2002

Cecily Brown, Bacchanal, 2001

Tony Cragg,  Early Forms, 2001 cm 130 x 410 x 160 Bronze

Tony Cragg, Clear glass stack, 1999 cm 240 x 115 x 115 glass

Simon Starling, Flaga, 2000 (opera esposta alla Biennale di Venezia 2003 all’interno della sezione “Sistemi individuali”, curata da Igor Zabel)