L’evento è di certo interessante. The Road to Contemporary Art difende il giovane collezionismo, la rete delle gallerie romane, registra una serie di connessioni internazionali, ma soprattutto restituisce alla città l’idea del mercato. Ludovico Pratesi, Achille Bonito Oliva sono i rappresentanti della critica romana chiamati a indicare nuove direzioni di lavoro nel progetto del molto citato Roberto Casiraghi.
In qualche modo la singolarità dell’iniziativa, un mix madrileno, sabaudo e da sacro romano impero, consiste nel mostrare l’amara realtà. La Capitale di una Repubblica della UE che può contare solo pochi collezionisti, molti dei quali estremamente giovani, promettenti, ma inesorabilmente legati ad un target di prezzo limitato ad opere di taglio medio. Quotazioni che variano dai cinquantamila euro sino ai duecentocinquantamila euro. 
Merita a mio avviso una nota il sistema di accrediti: fastoso con una carta personale. Mi dico che non serve ma poi me la chiedono ed io che detesto le tessere tento di passare inosservato. Qui subentra la relationist. E mi dico, possibile che non si possa realizzare un contesto in cui alcuni pregiudizi sul terzomondismo siano superati? La strada del contemporaneo è una strada internazionale. Chiunque può passarci e ciascuno di questi con proprie abitudini, mode, tic. La Roma della Contemporary art deve fare abitudine all’esotico e questo prima di altro. Deve pagare questa cortesia se vuole davvero uscire dal suo letargo isolazionista. Purtroppo in alcuni casi non è successo.

Considero con attenzione. A Roma manca la figura del relationist formale, che sappia distaccarsi da un contesto isolazionista attraverso modalità professionali. Il press office può anche essere una sorta di agenzia di rapporti e relazioni e non deve necessariamente scalare i coefficienti di VIP presenti al fine di far funzionare il meccanismo comunicativo. La comunicazione ha un fine. O meglio, tutto deve essere fatto con capacità funzionali al mercato. La critica può essere antipatica, la cura può essere antipatica, gli artisti possono essere antipatici, i mandatari di strategie d’immagine e comunicazione devono mostrare fredda cordialità comunque. Non si tratta di vincoli formali e inutili, servono a ricevere anche richieste inaspettate. Immaginate un nuovo compratore, intimidito dalla folla di esatti commedianti. Costui non deve essere traumatizzato dalla scostanza dell’Ufficio stampa. Quello è un potenziale super collezionista: questo deve pensare sempre l’Ufficio stampa o il relationist. Anche se il tipo che gli si para davanti ha due grappoli d’aglio nelle tasche ed ogni tanto ne mastica uno succhiandolo avidamente. Quello è il nuovo collezionista: arriva dalla Russia, compra per conto di una multinazionale cinese e non guarda nemmeno il vostro lavoro perché le uniche opere che compera hanno un valore superiore almeno al milione di dollari. Ecco, a mio avviso The road to contemporary art che presenta iniziative lodevoli, come quella delle opere mai viste, e soprattutto la presenza di un giovane collezionismo, compie il torto di non mirare più in alto, ma bisogna anche accettare la brutale realtà. Anni di resistenza dogmatica al mercato hanno sconvolto il paesaggio culturale di questa capitale.

La presenza di tante gallerie interessanti, nel paesaggio internazionale, è un ottimo segnale comunque. In particolare grazie allo smalto dato da Massimo De Carlo e Tucci Russo, il quale propone un allestimento di Penone addirittura imbarazzante per la sua sconvolgente presenza, un’opera da vertigo camaleontica. E poi: stupendi i piccoli lavori di Jarr proposti da Lia Rumma ma belle anche le presenze di Gillick, Zabernig, Bullock proposti dalla Galerie Micheline Szwajcer di Anversa con un ragguardevole allestimento. E bisogna anche dire che, a prezzi sicuramente non esasperati, per la prima volta un collezionista avrebbe potuto comperare a Roma pezzi strani, rari. Markus Schinwald da Marconi era strepitoso, Jonathan Monk presentato da Sonia Russo di Torino in Cose mai viste era appena realizzato, semplice e bellissimo.

Mi dico bene. Ma di tutto questo a me cosa importa? Mi interessa, mi importa che ci siano artisti, grandi artisti, che possano lavorare, vivere, pagarci le tasse, l’energia, quello che volete, ma solo col lavoro d’artista. E lo stesso mi piacerebbe vedere nelle altre categorie, che nell’arte vivono. La critica pagata. La cura anche. L’ufficio stampa, naturalmente. Mi piacerebbe vedere un insieme professionale al lavoro. Mi piacerebbe poter dire che artisti, critici, curatori, siano ciò che fanno e non di volta in volta vigile urbano, autista, ingegnere, carabiniere, dirigente, professori a ufo. Insomma il desiderio di un sistema di mercato che funzionando garantisse l’esistenza di figure d’artista, di critico e di curatore che invece straripano nel sistema sotto forma di grotteschi replicanti dilettanteschi in cui, di volta in volta, in molti precipitiamo. Mi piacerebbe che la strada apertasi conducesse verso questo tipo di realtà anche in Italia, ma immagino di chiedere troppo. Si dice che l’arte sia un sistema del lusso, ma aggiungo io, un lusso infinitamente meno lussuoso del SUV. Se soltanto un decimo dei compratori di quelle macchine assassine che chiamiamo SUV comperasse al posto di queste un vero lavoro d’arte ci sarebbero cinquantamila richieste da cinquantamila euro. Questo è il punto.

I sostegni. Io non ho letto comunicati, non so chi abbia sostenuto questa iniziativa ma le sedi hanno in comune alcune relazioni con la carta stampa, il Sole 24 Ore in testa. Reputo corretto da parte dei giovani industriali aver appoggiato questa iniziativa e purtroppo questo rende ancora più palese il mancato appoggio delle istituzioni statali, mentre erano presenti il Comune di Roma e la Regione Lazio. Da ciò ne deriva la constatazione ovvia di una Capitale sempre più isolata politicamente su questi temi, specchio dell’abbandono della politica. Gli apparati statali strangolati dalle proprie faide burocratiche atte a mantenere in vita antichi privilegi sono vicinissimi, dalle sedi di Roma – The Road to contemporary Art di Piazza Colonna distano poche decine di metri ma sono un abisso.

Dall’alto:

Jonathan Monk, Silver Mirror eyes, 2008, fotografie trovate, puntine d’argento, dimensioni variabili. In Cose mai viste, courtesy Sonia Rosso, Torino.

Julian Opie, Charlotte Estate Agent, 2000, C-type print montato su legno, cm 35 x 27,7 in Incipit.

Piotr Uklanski, Untitled (the hole), 2007, specchio, specchio magico, alluminio, luci led, acciaio, H cm 10 Ø cm 110. Galleria Massimo De Carlo.