La vita della fashion designer israeliana Adolfina Leitersdorf, in arte Finy, ricorda in certi aspetti quella di alcune celebri donne della sua generazione, prima fra tutte Coco Chanel. A Mademoiselle la accomuna la passione per una moda che trascura il disegno a favore di una creatività che si materializza direttamente sul corpo. Entrambe, inoltre, sono spinte dalla visione di un’eleganza sobria di grande modernità, e continuamente alla ricerca di nuove strategie di produzione che le rendono artefici di un moderno concetto di eleganza femminile, tracciando le fondamenta di uno stile originale e avveniristico. Il carattere intraprendente di Finy si evinceva già dal suo aspetto esteriore, stravagante tanto quanto quello di un altro personaggio famoso della sua stessa generazione, Peggy Guggenheim. Se lo stile della grande mecenate americana si può sintetizzare nei suoi enormi occhiali da sole, quello di Finy è caratterizzato da ampi vestiti accompagnati da grandi gioielli, e da una capigliatura rosso fuoco che non passa inosservata, e da cui si evince un atteggiamento precorritore del proprio tempo.
Finy Leitersdorf, nata in Ungheria nel 1906, ha avuto una lunga e intensa vita che si è spenta all’età di ottanta anni. Oggi, a 25 anni dalla sua scomparsa, la nipote Andrea Leitersdorf, con il suo temperamento deciso e la sua passione per la moda tramandata dalla nonna, ha aperto uno spazio espositivo a Tel Aviv, nel Suzanne Dallal Center, a fianco al ristorante di sua proprietà, considerato uno dei luoghi più trendy della città. Villa D, che si trova nel quartiere Neve Tzedek, conosciuto come la Soho di Tel Aviv per il fermento culturale che ruota intorno a questo luogo, ha ospitato ad agosto una grande mostra dedicata a Finy Leitersdorf dal titolo Private ReCollection, dove sono stati esposti gli abiti più celebri realizzati durante la sua lunga carriera, contraddistinta da un’abilità artistica inimitabile che l’ha portata a realizzare vere e proprie opere d’arte.
Nell’esposizione, strutturata in due sale distinte, sono stati presentati abiti accompagnati da articoli e grandi fotografie, oltre alla proiezione del film documentario del 1978 di Amos Gutman, dal titolo Sipurei Badim (“Racconti di stoffe”), che narra dell’industria israeliana della moda con una lunga intervista a Finy Leitersdorf. La mostra ha ricostruito sapientemente il percorso della sua carriera che si può far partire dal 1935, anno in cui la stilista sposa l’architetto Andre Leitersdorf, e con cui nel 1939 emigra in quello che diventerà nove anni più tardi lo Stato d’Israele. Alla sua attività pratica Finy affianca la didattica, tanto che nel 1940 decide di aprire un corso di fashion design nel suo studio di Tel Aviv. Come oggi, anche allora la “città bianca”, costruita in buona parte dai massimi esponenti del Bauhaus, è il centro nevralgico dell’arte e della cultura israeliana, aperta ai rapporti internazionali, dovuti soprattutto alle prime massicce immigrazioni che gettano lo sguardo al presente e in particolare alle ricerche europee. Queste influenze non vanno ricondotte solo all’arte figurativa (basti pensare al gruppo dei Nuovi Orizzonti, ad esempio), ma anche al fashion design, come dimostra il lavoro stesso di Finy che nel 1950 apre il suo secondo studio a Rothschild Boulevard, poi trasformato nella sede della scuola di fashion design dal 1967 al 1970, anno in cui nasce il prestigioso Shenkar College of Textile Technology and Fashion, oggi riconosciuto a livello internazionale come una delle realtà più all’avanguardia nell’ambito del Fashion Design.
Gli abiti realizzati da Finy tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta riflettono il periodo di austerità che colpisce Israele durante la Guerra di Indipendenza. Come pochi anni prima la crisi degli approvvigionamenti di materie prime aveva investito l’Europa e l’America durante il periodo dell’autarchia, stimolando gli stilisti nella creazione di un abbigliamento diverso che impiegasse prevalentemente l’uso di prodotti nazionali, anche Finy deve far fronte alla scarsità dei tessuti. Realizza così abiti, compreso quello per Golda Meir, con i materiali naturali che offre la terra d’Israele, quali ad esempio la lana di pecora, tessuta a mano e usata nei colori grezzi che rimandano alla cultura, al paesaggio e ai sapori medio orientali.
Come i più noti fashion designers che hanno tracciato le fondamenta dell’haute couture internazionale, anche Finy Leitersdorf nel corso della sua carriera veste e frequenta il mondo degli artisti, da cui riceve e a cui dà ispirazione. Il rapporto tra arte e moda si fa solido quando Finy giunge al suo terzo matrimonio, nel 1954, con l’artista Yochanan Simon. Insieme trascorrono un anno in sud America dove hanno modo di trarre ispirazione dalla cultura del luogo, come dimostrano le tele di Simon a cui Finy si ispira imitandone i colori sgargianti e le forme geometriche che si mescolano e si fondono tra loro. La sincronia estetica fra arte e moda diviene in questo senso un vero e proprio modello di riferimento.
Tornata a Tel Aviv, Finy avvia un rapporto di collaborazione con l’imprenditrice Ruth Dayan dando origine ad un’avventura emozionante che ha il suo apice nella creazione del marchio artigianale Maskit, un pilastro importante nella storia della moda locale. Per 15 anni Leitersdorf disegna abiti e accessori per Maskit che oggi sono considerati gli esempi più alti dell’haute couture israeliana. Contemporaneamente si dedica anche alla creazione di costumi teatrali e disegna le divise ufficiali per le hostess del padiglione israeliano del World’s Fair di Bruxelles (1965) e dell’Expo di Montreal (1968), nonché le uniformi delle guide turistiche del Ministero del Commercio, Industria e Turismo d’Israele (1980).
Gli abiti realizzati in questi anni dalla stilista si contraddistinguono per la vivace policromia e per l’uso di materiali diversi. I tessuti sono sempre quelli locali, cotoni mischiati a conchiglie, sassi, sabbie e vetri che fanno letteralmente impazzire l’alta moda internazionale, in particolare quella francese e americana. Ad esempio, l’Abito Yemenita è caratterizzato da un ricamo ispirato ai gioielli realizzati dagli ebrei dello Yemen e da una particolare gamma di colori: il marrone ricorda i deserti, il nero prende ispirazione dalle tende beduine, e l’azzurro dal Mediterraneo. Insieme a questa serie di abiti di ispirazione locale, Finy produce anche vestiti dal design più europeo, pur rifiutandosi di copiare la moda occidentale perché, come lei stessa afferma “vi sono delle differenze climatiche, e dunque cromatiche, imprescindibili”. Una delle più celebri creazioni di Finy è il Desert Coat del 1955. Si tratta di un mantello fatto di cotone naturale e costituito da un unico pezzo di stoffa tagliato in diagonale e cucito a mano. Un cappotto pensato come una vera e propria opera d’arte così come Il grande cretto, fatto di organza cucita in cinque strati nei colori che vanno dal rosso argilla al sabbia, ricordando il paesaggio desertico del Negev. È in questo senso interessante rilevare come, qualche anno prima, un altro grande fashion designer stava lavorando sullo stesso tema della fenditura e della spaccatura dovuta a particolari condizioni naturali. Si tratta di Roberto Capucci che, interessato alle linee e alle forme traslate nella materia, realizza il suo magnifico Cretto, un cappotto nero con delle applicazioni di panno bianco che formano delle crepe aperte come esplicito rimando alle celebri opere di Alberto Burri.
Durante gli anni Sessanta e Settanta si fanno sentire le influenze delle nuove ricerche internazionali, dalla Optical Art alle Neoavanguardie. In Israele, mentre Yaacov Agam diviene il pioniere nell’arte ottica, anche Finy risente del gusto cinetico che caratterizza questo periodo e viene declinato in tutte le forme, dal design al cinema, dall’arte alla moda. Il bianco e nero diventa un must, ai tessuti naturali si affiancano ora le plastiche lucide che rimandano ad un’idea concettuale dell’arte e ad una moda neoplastica. Così come Cardin, Courrèges, Rabanne, Capucci, Mila Schön, anche Finy punta su una sintesi tra design, architettura e moda, inaugurando un taglio sintetico, monocromatico, funzionale e squadrato in cui sono eliminati tutti gli orpelli a favore di una geometria essenziale. L’abito diviene così superficie mobile per eccellenza, grazie ai giochi ottici e all’impiego di un particolare sistema modulare.
Il senso di eclettismo degli anni Settanta risulta parte integrante del Postmoderno al suo inizio, dove la moda diviene espressione di una cultura incline ad un movimento disordinato in cui la citazione e l’interpretazione della storia propongono un’estetica originale dagli sfaccettati processi creativi. Quello che accomuna Finy Leitersdorf ai grandi fashion designers contemporanei è proprio questo sguardo trasversale, nonché l’essere riuscita ad imporsi all’interno di un sistema internazionale che l’ha riconosciuta come protagonista assoluta della moda israeliana, rappresentando questa nelle più importanti sfilate mondiali. Leitersdorf si è sempre contraddistinta per il suo stile tutt’altro che unificante, con la precisa funzione di far emergere i nuovi aspetti della cultura israeliana, dalla società all’economia, come dimostrano gli abiti esposti nella retrospettiva a lei dedicata nel 1983 dal titolo Finy Leitersdorf – An Israeli Fashion Designer, al Museum of Art di Tel Aviv, trasferita l’anno dopo in Texas, al Dallas Historical Society. Finy Leitersdorf è oggi affermata a livello mondiale come esempio di una vita sul crinale tra arte e moda con le sue creazioni dal forte sapore autoctono che rimandano ad un gusto e a una storia millenaria.

Dall’alto:

Finy Leitersdorf

Finy Leitersdorf, abito ispirato a Yohanan Simon, anni Settanta

Finy Leitersdorf, abito ispirato a Yohanan Simon, anni Settanta

Finy Leitersdorf for Maskit. Skill Dress. Anni Sessanta. Foto by Ben Lam

Finy Leitersdorf, Piano Dress, Black and White, 1970. Abito in maglia lavorato a mano. Conservato nel dipartimento di Fashion Design dello Shenkar College di Israele

Finy Leitersdorf, the moon and some stars. Pelliccia nera e organza. Abito anni Settanta realizzato per la sfilata Bonds

Finy Leitersdorf,  Abito da sposa ispirato ai disegni di Anna Kalona. Anni Sessanta