Appunti di visita al Fuori Salone del Mobile 2018 (e non solo)

di Laura Falconi

La visita è iniziata dagli show-rooms delle più celebri e titolate aziende   illuminotecniche (fig.1). La nuova proprietà di Fontana Arte, grazie alla riscoperta nei propri archivi di un disegno autografo di Pietro Chiesa che raffigurava il celebre Luminator (1935) con corredo di dati esecutivi,   ha riprodotto fedelmente nelle proporzioni e nelle cromie (ci auguriamo in serie limitata e numerata, per la gioia dei collezionisti e la tutela dei valori antiquari) questa lampada quanto mai innovativa per l’epoca nella quale fu concepita e prodotta.
1.Nello show-room di Fontana Arte, fra modelli storici sempre in catalogo, fra i quali la Naska Loris da tavolo (foto Daniele Statera).
Ci è stato comunicato con l’occasione che la società si appresterebbe a tralasciare nelle prossime lavorazioni il vetro industriale in lastra in favore del vetro soffiato. Una scelta simile, motivata dall’esigenza di stabilire una netta discontinuità con la gestione Saint Gobin di fine anni settanta, quando addirittura l’azienda fabbricò e mise in vendita oggetti in plastica (il porta-ombrelli Noè), confondendosi provvisoriamente con le più recenti e improvvisate manifatture industriali portò negli anni ottanta la proprietà Guglielmi a stabilire per un periodo un accordo di produzione con la vetreria veneziana Vistosi.  I prodotti che ne sortirono, esemplari limitati di raffinata manifattura e costo necessariamente alto, assicurarono a Fontana Arte un ritrovato prestigio, anche se gli esiti dell’operazione sotto il profilo commerciale non furono altrettanto vantaggiosi.  La direzione artistica di Gae Aulenti fu però decisiva, all’epoca, per rinnovare con l’apporto di autori contemporanei di sua scelta o scuola, il primato internazionale della storica manifattura artistico-industriale milanese nelle lavorazioni del vetro in lastra e del cristallo.
Il grande show-room di Artemide nella serata inaugurale (fig. 2) era presto invaso da una folla così straripante da impedire la visita e la vista dei prodotti;
2.Apertura dello show-room di Artemide (foto Daniele Statera).
solo seguendo lo stretto varco aperto dal passaggio del titolare e Art Director Ernesto Gismondi (con un piglio da re Lear che riprende possesso del regno) si poteva raggiungere il cortile fra palazzi contigui dove si svolgeva il rinfresco. Un grandioso spontaneo omaggio a un’azienda e a un fondatore che hanno illuminato gli ultimi decenni della nostra vita, e oltre.
Il nuovo spazio espositivo acquisito (fig. 3) da Barnaba Fornasetti in corso Venezia non poteva essere eluso. Distribuiti su tre piani collegati da una scala a gradini trasparenti, le più note creazioni del capostipite Piero, dai piatti ai vasi ai trumeau “architetture celesti” con decorazioni difformi –  in lacca nera e oro o rossa e oro di gusto orientalizzante, o mutuate dalla Pop Art o da uno stile geometrico Optical, o scandite su lacerti di strutture squisitamente classici, archi, capitelli e colonne – accoglievano i visitatori da veri protagonisti.
 3  Interno del nuovo spazio espositivo di Fornasetti a corso Venezia con una sfilata di sedie “vestite” (foto Daniele Statera)
 L’ora di maggior afflusso essendo trascorsa, l’impressione era di avere accesso esclusivo nella dimora privata di un grande collezionista. Prerogativa principale di quelle produzioni è di non stancare mai, di mantenere inalterato il proprio fascino, come si è visto nella mostra romana tuttora in corso di Palazzo Altemps, fra capolavori dell’antichità classica.
La rassegna “Storia” in Triennale, fra oggetti identificativi del Design italiano dagli anni venti del secolo scorso a oggi,  ha occupato il giorno seguente l’intera mattinata; il tardo pomeriggio è trascorso nel grande spettacolo messo in scena da Cassina, tornata per l’occasione ai fasti dei tempi migliori. La recente acquisizione del piano superiore e di due terrazze nello storico show-room di via Durini e il nuovo allestimento di Patricia Urquiola hanno moltiplicato gli spazi e l’accoglienza, sino a comprendere una sala conferenze con attigua biblioteca e altro.  Spiccava l’accurata esecuzione (in trenta esemplari) (fig. 4) di arredi per un piccolo vano destinato a studenti di un’Università internazionale –   per il riposo notturno, lo studio e il semplice soggiorno – ideato negli anni Cinquanta da Le Corbusier e associati con il successivo, tutt’altro che secondario contributo di Charlotte Perriand. Una mirabile sintesi della visione abitativa del maestro svizzero-francese, già espressa in precedenza in almeno un’Unité d’Habitation, ma ulteriore testimonianza anche delle note capacità della grande autrice sua contemporanea di creare un habitat esaustivo e confortevole pur nelle minime dimensioni.
4  Una veduta della cellula abitativa minima di Le Corbusier. Pierre  Jeanneret e Charlotte Perriand progettata per un’Università Internazionale e  riprodotta da Cassina in trenta esemplari, anni cinquanta-2018  (dal catalogo  Cassina).
Non meno interessante la versione per esterni di un celebre modello di divano e di una poltrona degli stessi autori e di Pierre Jeanneret, realizzata con legni e tessuti idrorepellenti e la riproduzione di una sedia di Rietveld nella quale è stato risolto con elegante praticità e aderenza al progetto la curvatura del sostegno metallico.  Fra le non poche nuove creazioni emergeva la sedia Back Wing di Patricia Urquiola (fig. 5), realizzata in legno e pelle; sapiente e nonostante tutto morbida rielaborazione contemporanea di solide forme novecentesche.
5  La sedia Black Wing di Patricia Urquiola in  legno e cuoio (dal catalogo Cassina).
Un cenno a parte merita Nilufar in via della Spiga. La Galleria di Nina Yashar attira sempre l’attenzione del pubblico. Presentando o isolando gli oggetti di design come oggetti d’arte (commento del designer Daniele Statera, con il quale chi scrive effettuava la perlustrazione) conferisce loro il massimo risalto. L’articolazione degli ambienti su piani diversi e intorno al cortile centrale dell’edificio accentua sensazioni di progressiva scoperta. Frutto di una cultura raffinata e cosmopolita e di indiscutibile gusto, l’esposizione comprendeva nel vano d’ingresso esemplari scelti di mobili, specchiere, tavoli, sedute opera dei maggiori maestri del Design italiano (Ponti, Chiesa, Albini, Caccia e altri), accanto ad autori recenti che hanno acquistato ad opera della stessa Galleria notorietà, come Martino Gamper. Per poi ospitare, in altre sale, creazioni meno note del passato design scandinavo e, infine, brasiliano. In un’ultima saletta ancora esemplari italiani d’epoca, come un Luminator da terra (insolito nel suo antiveggente post-modernismo) primi anni Cinquanta di Angelo Lelj, a racchiudere la fonte luminosa un cerchio di ali vitree simili a rami di palma.
A impressionare, nel Salone, l’originale allestimento di Kartell; procedendo a serpentina fra palcoscenici paralleli (fig. 6) si coglieva in un solo sguardo in attesa di successive soste e approfondimenti la multiforme varietà delle nuove proposte.
6  Uno dei palcoscenici espositivi policromi allestiti da Kartell (foto Daniele Statera).
Le lampade dive “Bellissima” di Ferruccio Laviani, le sedie leggere “Bio” in materiale plastico di Antonio Citterio o, all’opposto, il materico scultoreo tavolo rotondo di Mario Bellini in marmo con sostegno in ceramica a plissettature o gli accessori da tavola in vetro intagliato (“Jellies Family” di Patricia Urquiola) colorato in una gamma di sobrio gusto neoliberty si apprestano a entrare da protagonisti nelle nostre abitazioni.  Il cast di designer contemporanei coinvolti da Kartell risultava in tutta la sua ampiezza, ma non ci si può aspettare di meno da un’azienda che conta nel mondo 140 punti espositivi e di vendita.
Assai felice la scelta di L’Abbate, manifattura industriale di dimensioni meno estese ma di solido impianto e attività (aperta alla collaborazione di designer internazionali, fa perno su esclusivo lavoro italiano) dislocata nel celebre distretto friulano della sedia: realizzare il progetto di seduta in frassino di Matteo Cibic (fig. 7).
7   Matteo Cibic, sedute in massello di frassino “Alfa”, L’Abbate (dal catalogo dell’azienda). 
Ispirato allo stile Shaker proprio di un’epoca e di una parte di popolazione nella storia degli Stati Uniti, questo modello in due versioni non ignora, nel gioco elegante dei sostegni e delle traverse l’esistenza della sedia Leggera (Cassina, 1954) di Gio Ponti.  L’azienda si era fatta notare qualche anno fa per aver acquisito al proprio catalogo una sedia disegnata da Ponti negli anni Quaranta sulle pagine di “Stile” e mai fabbricata allora né dopo; ribattezzata Livia, è prodotta in una gamma di cromie già care al progettista. Il felice abbinamento in catalogo dei due autori, all’apparenza coetanei per freschezza di concezione e aurea semplicità di risultati – ma in realtà distanti fra loro ottant’anni, è di buon auspicio per il nuovo Design italiano e i suoi estimatori.
laura.falconi@icloud.com

 

Quarter Column