Simonetta Lux, CESARE TACCHI: PERSONA, OGGETTO, PITTURA (POP  ?)
Intervento alla Giornata di Studi 27 marzo 2018 – Aula Magna, Facoltà di Architettura – Piazza Borghese 9, Roma
Sul tema: CESARE TACCHI Dalla “realtà dell’immagine” alla spiritualità della pittura, attraverso il progetto .
Gli altri interventi:  Giacomo Marramao, Francesco Moschini, Alessandro Masi, Simonetta Lux, Franco Purini, Silvio Pasquarelli, Giorgio Corrente, Stefano Chiodi, Daniela Lancioni, Luigia Lonardelli, Mario Casale, Ilaria Bernardi, Raffaella Perna, Valeria Montanari, Achille Bonito Oliva, Bruno Di Marino, Salvatore Piermarini.
La Giornata di Studi è una delle iniziative tenute in occasione della mostra:
CESARE TACCHI. UNA RETROSPETTIVA
7 febbraio > 6 maggio 2018 Roma Pala Expo,
a cura di Daniela Lancioni e Ilaria Bernardi.
Il Catalogo Cesare Tacchi. Una retrospettiva, è edito da Palazzo delle Esposizioni, 2018, a cura di Daniela Lancioni e Ilaria Bernardi.
Oltre ai saggi delle curatrici della mostra, che ricostruiscono rispettivamente gli anni fino al 1968 (Lancioni) e dal 1968-2004 (Bernardi), è presente una antologia di testi storici sull’artista ed un prezioso repertorio di scritti di Cesare Tacchi.
Le citazioni di Daniela Lancioni e di Ilaria Bernardi sono riferite alle pagine in catalogo.
Daniela Lancioni, Cesare Tacchi Dagli esordi alla Cancellazione d’artista.
Ilaria Bernardi, Cesare Tacchi e “lo spirito dell’arte” dopo il 1968. “…per fare arte bisogna pensare al rovescio…”.
PREMESSA 1491.
 “Perché la città di Trissino chiede artisti pop e perché mi avrà chiesto di delucidare tale qualità storica come una “appartenenza” specifica di artisti romani, con opere- come si suol dire – “proprio di quegli anni”, cioè “storiche”?
E’ vero che ho detto “sì” quando mi è stato “suggerito” che la Pop art non poteva che essere “romana”, ed infatti si potrebbe dimostrare.
Ma detto così, non sembrerà il mio, un tradimento dei miei amici – e forse miei maestri, in quanto ai miei inizi me lì trovai belli e fatti, nella Roma del 1965 un tradimento cioè dei grandi artisti italiani Franco Angeli, Gianfranco Baruchello, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Sergio Lombardo, Renato Mambor, Fabio Mauri, Mimmo Rotella, Mario Schifano, Cesare Tacchi, ai quali non è mai mancata occasione per ribadire la loro centralità/diversità internazionale e cosmopolita?
Proprio essendo in tutto e per tutto- cioè nelle loro filosofie diverse,- non Pop (Popular), ma Pap (Proiettivi, anarchici, primari)?
Oppure: non Popular ma Papalini?
Tre sono in verità gli elementi che fanno la Poppità pur nella Diversità di Angeli, Baruchello, Festa, Fioroni, Lombardo, Mambor, Mauri, Rotella, Schifano, Tacchi (tre Triadi, tre Trimurti, tre Trinità): la Sublimazione dell’istinto anarchico, la DeSublimazione della Sublimazione con la scelta e la accettazione di tematiche e metodologie allora a Roma ancora “pubblicamente” proibite (ed ovvia­ mente amate e praticate a livello Popolare e di massa ) come l’Eros, la Morte, l’Arte , la ricerca dell’Origine e dell’Originario nella defragmentazione e ricostituzione elementaristica dei codici e o dei linguaggi antichi e/o correnti.
Per dirla con parole povere, siamo di fronte a degli equivalenti nel metodo – più che nelle icone – di una processualità che denuda il re, anzi mette in scena il Re già denudato: nella Pop americana (non parlo della prima Pop, quella inglese, diversa e rispondente ad altre genialità) siamo di fronte alla presentazione disincarnata di oggetti e luoghi tipici della produzione e comunicazione di massa, della messa in scena di azioni conseguenti alla loro “meccanica “e alla loro “topica”, alla presentazione vulgata e pittoricizzata o pseudo-sculturalizzata di linguaggi alti e ben noti; qui da noi invece si denudano i luoghi tipici della trasmissione culturale sia essa riferita all’antico rinascimentale o alle avanguardie storiche – essendo questo il pop nazionale – vengono messi in scena, sia nei quadri sia con la nascita del cinema d’artista, frammenti dell’eros e della psiche e del nascente fatto del consumo di massa consistente nella “motorizzazione d’evasione”, tipica metamorfosi autoctona e autoeducativa del “voyage en ltalìe” (compiuto in epoche precedenti dall’intellettuale nordico), infine riduzionismi diversi concettuali, procedurali e tecnicolinguistìci e/o di sfondo ideologico pseudo di sinistra, che hanno aleggiato sulla formazione dei designer prima, e poi sulla fortuna del prodotto italiano di buon design.
E solo oggi, con quella che potremmo chiamare una “fortuna di ritorno”, il giusto e straordinario riconoscimento internazionale della creatività/qualità del prodotto italiano- avvenuta presto e nei tempi giusti fin dagli anni cinquanta- con un contro-colpo va a riverberarsi oggi di nuovo appunto sul luogo originario di quella fortuna e cioè sull’arte. Ma di questo non è il caso di parlare ora, anche perché questa fortuna di ritorno è stata preparata dagli inizi del decennio 70 e anche se oggi l’impresa manda avanti a sé l’Arte, e non la accoda più solo come fiore all’occhiello. E nell’assistere a questo strano processo, ricordiamo che la straordinaria originalità ed identità di questi artisti fu tutelata da essi stessi, al prezzo però di non integrarsi nel meccanismo finanziario del mercato artistico precedente la congiuntura globalistica che ora viviamo: e che è favorevole a una valorizzazione economica. Ora, ognuno dì queste tre metodi o procedure dell’Immaginario (che ovviamente quando si produssero non credettero certo di essere né metodi né procedure, ma modi e sistemi di pensiero) possiamo individuarlo con accentuazioni o esclusività individuali nell’opera di ognuno di questi artisti: che, non è male ricordarlo, non fecero parte di un “movimento” poiché il movimento Pop non esiste né esisté un “manifesto” con relativi firmatari. Piuttosto rappresentarono una rinnovata e libera visione del mondo, adeguata “futuristicamente” al proprio tempo; e di quel tempo, osservato dal centro di una capitale e a sua volta dal centro di una ChiesaStato, lasciano straordinaria e veritiera traccia.
Gli artisti ” psicologici” sono Schifano, Tacchi e Fioroni, gli “araldici e mass-culturologici’ sono Festa, Angeli, Baruchello e Mauri, i defragisti più dematerializzati sono Lombardo, Mambor, Rotella. Un “lo sono infantile” di Mario Schifano, un argento “Amore” (1964) di Giosetta Fioroni, una “astrazione psicologica” come “Renato e poltrona” (1966) di Cesare Tacchi, sono dei maximum di grande pittura le cui matrici gestuali, saviniane, morandiane non attendono che di essere pienamente comprese. La metamorfosi subita dalle icone della storia e della contemporaneità, il quadro del Rinascimento, la traccia aereonautica, l’icona cinematografica, come nel quadro di Tano Festa “Particolare dei Coniugi Arnolfini” (1963), o nella tela di Franco Angeli “La Lupa di Roma” (1961), o nella pittura di Gianfranco Baruchello “Quando percettivo ” (1962), portano ad un’esaltazione figurata dell’azione critica, cioè concettuale, restituendoci insieme rigore e oggetto pittorico.
Fin dalla metà degli anni cinquanta Rotella -con i suoi decollages “Buongiorno”(1959); “Toncat” (1960) inizia quella nuova analitica del linguaggio connessa alle nostre reattività psicologiche all’avvento del nuovo automatismo voluto dall’uomo tecnologico , non contento ,ci sembra, non contento di quell’automatismo naturale comunque subíto(caro Leopardi}: e diverse sono le risposte, anche ironiche, vorremmo dire, oltre che scientifiche all’impatto dell’automatismo degrado/consumo/degrado , di Sergio Lombardo con i suoi quadri/icone di gesti tipici “Kennedy e Fanfani” e Renato Mambor “Ferito a morte” (1965) “Itinerari col rullo”(1968): bei gesti, ma anche bei quadri, belle opere, rimaste poche, proprio per la scelta della identità. E penso che l’ironia sia il segnale di un nuovo, maggior benessere, che nella ” Era Pop” era di là da venire.
 Certo che il tutto riconduce a quel ductus filosofico-concettuale dell’artista italiano, antico e contemporaneo anche, con tutte le conseguenze dovute a una riottosità alla sottomissione, compresa quella connessa alle regole finanziarie ed economiche della attribuzione di valore. Riottosità all’input del dover essere nuovi e “banali” come l’oggetto stesso osservato, elemento principe del “catalogo delle prescrizioni” americane, l’input cioè di un paese, come sappiamo considerato sollecitatore di libertà ma anche insieme grande “oppressore” potenziale, in quanto straordinario trasformatore delle idee in sistema finanziario/ economico.
Insomma il modello USA di libera intrapresa anche nell’arte si tramuta in “affissione” di un sistema di regole, di un vero e proprio “cartello” non diverso da quello petrolifero dell’epoca (oggi col globalismo i “cartelli”                        non vanno più tanto): inglobarsi o perdersi.
Per tutte questa scelte e metodi Poppizzanti Roma bastava: Roma corpo geografico/politico/psicologico leggibile come fa Freud in Al di là del principio del piacere- come un Corpo/Psiche (la Capitale) che incapsula al suo interno le potenzialità di vita/morte e cioè lo Stato/Città del Vaticano. Ecco perché i nostri artisti sono definibili piuttosto Papalini che Popular: e comunque talmente abili nel rovesciamento della pappa data o dello sventolato ideale in bassa e spiritosa cucina. Da fare di questa abilità una “condizione”.
Una dei rari critici senza tanti peli sulla lingua, cioè Lorenza Trucchi, definì tale condizione “neo­ metafisica”, presto mutata da altri in “etichetta” movimentistica, ma certo comunque un dono.
 Attribuire loro insomma una patente o semplicemente una scheggia dì quella strepitosa filosofia e qualità connessa all’opera di Giorgio de Chirico e di Alberto Savinio dai quali tutto il novecento ha preso luogo- significava investirli e meritatamente di un valore in più , riconoscere in loro una certa storicità di fondamento che può ben figurare anche ln questo nostro mondo della post­ histoire, essendosi essi premuniti di una “esplosione” e di una “inespressivitá” 3 quanto mai attuali e duraturi.
 “Tendo al mio fine- scriveva Carlo Emilio Gadda in uno scritto degli anni trenta e diventato ultranoto solo proprio negli “anni pop” 4 – tendo a una brutale deformazione dei temi che il destino s’è creduto proponermi come formate cose ed oggetti….”e già nel 1931 vedeva il mondo quasi pop, e non è un caso che il suo romanzo La meccanica piombi nel 1970 5 proprio in quello pieno già di rifiuti della iperproduzione degli anni 60: “Ma i carabinieri non gli davano pace, perché con la loro malvagità consueta nel pittoresco repertorio della maglieria erano riusciti anche a introdurre trentadue dozzine di cravatte di seta, ventotto dozzine fantasia e quattro da lutto, dodici pacchi di mutande da uomo, felpate, sette scatola di saponette al gelsomino, e una quarantina fra bottiglie e fiale di profumi, con le marche un po’ grattate. Inoltre, colmo dei colmi, uno scatolone monumentale che, scoperchiato, rivelò subito alla questura esterrefatta cinquanta pere di gomma per uso irriguo; e poi ancora degli spruzzatori, del dentifricio, della cipria, otto lampadine “Philips”, un grammofono che non si riusciva più a farlo cantare, un abito ecclesiastico e una fenomenale gabbia da uccelli in forma di “chalet” svizzero con disegni di finestre ogivali e due torri certamente gotiche”.

Da qui nascono le ragioni della mia relazione:DA PSEUD-OGGETTO A EVAPORAZIONE DELL’IO

NOTe al testo Cesare Tacchi, Persona, Oggetto, Pittura:dunque POP?
  1. Simonetta Lux, prime opere, mostra alla Galleria La Salita, Roma, 16 maggio 1980, con testo, cura e scelta delle opere della autrice. Simonetta Lux, Pascali “ o del linguaggio totale- Pascali “african” or on the total language., pp.39-50, in Pino Pascali. Ritorno a Venezia, 54. Esposizione Internazionale d’Arte, Evento collaterale, Di Marsico Libri editore, Bari, 2011.
  2. Simonetta Lux, Pop Art Perché Roma, in catalogo della mostra POP ART perché Roma, Trissino, 2000
  3. Germano Celant dedica a “inespressionismo” il libro Inespressionismo. L’arte oltre il contemporaneo, 1988, ed. Costa & Nolan, I turbamenti dell’arte.
  4. Carlo Emilio Gadda, Tendo al mio fine, in origine risposta alquanto anomala a un sondaggio bandito dalla rivista di Carocci e Bonsanti “Solaria” sulle nuove tendenze della letteratura. Fa da introduzione al secondo libro di Gadda, Il Castello di Udine, introduzione che eglli stesso definisce «prefazione malvagia, fatta apposta per far irritare l’Areopago» (come Gadda scrisse a Carocci) che dà al libro, oltre che il suo punctum di massimo espressivismo “spastico”, un’attendibile dichiarazione di poetica , scrive Lugi De Bellis ..http://spazioinwind.libero.it/letteraturait/opere/gadda.htm .
  1. Carlo Emilio Gadda, La meccanica, Garzanti, 1970
https://www.carloemiliogadda.it/opere/la-meccanica/trama/
  1. Non a caso uso il termine condizione, che di lì a dieci anni avrebbe usato nel titolo del suo libro del 1979 rimasto famoso: La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere: un testo rimasto famoso più per il suo aggettivo (postmoderno) che fu sostantivato come “tendenza”, e non come “condizione”. Che significava appunto il mutamento di paradigma del nostro modo di conoscere, e non un movimento o tendenza, da oggettualizzare e da incarnare.

 

 

Cesare Tacchi: Persona, Oggetto, Pittura: dunque, POP? Una Azione dell’arte, tra Corpo e Mente (1940-2004)

 

     1 -2: Cesare Tacchi (come Renato) in una foto di Plinio De Martiis, e sullo sfondo l’opera (Cesare Tacchi nel suo studio, Roma 1965) © Photo Plinio De Martiis – Galleria Francesca Antonini Arte Contemporanea, Roma. Renato e poltrona, 1965, pittura su tessuto stampato e rilievo (smalto, pastello, pennarello, stoffa stampata, chiodi, capoc, legno), cm 160x140x8.
Ho indicato nel titolo di questo mio intervento il termine POP, interrogativo, come acronimo dei termini specifici dell’azione dell’arte compiuta da Tacchi, tra “corpo e mente”: la risposta all’interrogativo sarebbe dunque sì e, nello stesso tempo, no.
 A indicare, come sempre hanno voluto fare gli artisti della sua generazione, quando si è attribuita loro l’etichetta di artisti Pop, come se fossero dei sottoprodotti provinciale della POP americana, cui loro hanno sempre attribuito il carattere di riferimento, attribuendosi tuttavia una specificità ed originalità, per cui la risposta appunto sarebbe stata sì, e no.
Di questo ambiguo legame, ho trattato più volte 1 ma in particolare mi riferisco a quanto, punta sul vivo dalla committenza di una saggio – proprio a me! –  per una mostra che si tenne a Trissino 2 nel 2000: cui diedi il titolo a specchio Pop Art Perché Roma. Premessa al discorso (che segue) su Persona, Oggetto, Pittura. Ripubblico quel testo qui di lato
DA PSEUD-OGGETTO A EVAPORAZIONE DELL’IO 2788
Oggi ribadirei ogni punto con cui attribuisco una specifica originalità e qualità a ciascuno degli artisti, che in effetti già Lorenza Trucchi aveva denominato “neo- metafisici”, ed io “papalini” invece che “popular”, poppizzanti in quanto concettuali e trasformatori (ognuno a suo modo) delle prescrizioni americane: rovesciandone le prescrizioni con una procedura concettuale (cioè consapevole) che si fa testimonianza della condizione 6 dell’uomo consumatore, vista attraverso la lente dell’uomo artista.
 Cesare Tacchi, appartenente alla triade degli “artisti psicologici” ( e il cui procedimento pittorico ho definito “astrazione psicologica”) vive sulla pelle (nel corpo e nella psiche, esperienza versus concetto) quell’appiattimento sul presente della percezione delle cose e delle emozioni, ed inizia così una sua sorta di sceneggiatura ricostruibile attraverso il processo creativo, i cui attori sono l’artista, appunto e l’altro, il pubblico, ovvero tra uomo/ artista (creante) e uomo/ del pubblico, (consumante). Una battaglia tra opera/oggetto, la pittura del quadro (esterna, frontale, impenetrabile, che culminerà in Sècretaire, nel 1980), e l’oggetto /croma (il giallo allora della Fiat 1200, veramente così pop cioè così elettro – domestico). Giallo in discesa, Giallo in salita, entrambi del 1961, di cui parlerò tra poco (come anticipo sullo pseudo design).
   5 – 6. Giallo cromo n.4, 1961, smalto su legno e metallo, cm 78x43x8,5. Dettaglio della parte centrale
Agli inizi la questione della “persona” non c’è. C’è la questione” oggetto”, che a lungo andare porterà gli artisti irresoluti delle generazioni successive allo pseudo-design.
Cesare è sofferente, come si vede nelle foto fatte ai tempi della Galleria Appia Antica, molto importante per le prime uscite delle nuove generazioni, a ridosso dell’esaurirsi della crisi dell’informale: ne era direttore artistico Emilio Villa poeta e critico, che veniva aiutato e finanziato dal grande artista Alberto Burri– come mi raccontò lui stesso in un incontro a tre anche con Burri stesso, che andai a trovare dopo la mostra a Firenze negli ex- granai di Orsanmichele “ORTI”. Galleria molto importante, nella quale si trasmettono i valori della grande Scuola Romana, di cui Burri è l’originale più recente e rivoluzionario autore, che devia strutturando le materie (nuove e antiche) nominandole come “colori”. Insomma non è lui uno di quei “bastardi” o “sottoprodotti” – come scrive Cesare Vivaldi proprio nel 1959 –  della tendenza europea dell’informel: “Il nuovo verrà- scrive sempre Vivaldi (Daniela Lancioni, p.17) – il compito dei giovani (…) potrebbe essere riorganizzare il caos, tornare attribuire un nome alle cose, una funzione agli oggetti”.
        7-8- Giallo in salita, 1961 . Suono rosso (n.6), 1961.
Il quadro che si intravede alle spalle di Tacchi Quadro D appare dipinto a catrame, con un impaginato alla Burri) il quale a modo suo aveva intrapreso a riorganizzare il caos, e ne fu maestro).
E’ da Villa che viene trasmesso Burri ai giovani.
Il pastello Rosso, giallo e nero – Verde, rosso e giallo, (1962) Tacchi nomina i colori come Burri. Sembra una porta che si schiude.
Da lì vengono Quadro D, e, qui esposte, Giallo cromo n.4 (1961, Premio San Fedele).
Scrive Daniela Lancioni (p.18):
“L’impressione è che i piani del Quadro D siano lievitati dalla parete. LI ha investiti un processo di materializzazione. Un’operazione finalizzata a dare concretezza alla visione. In quest’ottica la scultura viene in aiuto alla pittura e l’assolve dal compito di rappresentare. Ne fa un oggetto. Come è noto, questo è stato un passaggio cruciale attraversato dall’arte nel secolo scorso”.
Ma dico, che oggetto è quello di Cesare Tacchi, rispetto ai processi di oggettualizzazione dei suoi coetanei della neo-metafisica? Il suo è uno pseudo oggetto, che diventerà in futuro quello pseudo design, una scelta estrema di artisti di fine millennio (Franz West, Atelier Lieshout, Maurizio Cattelan, Ana Rewakovicz, Zittel Andreas) e per fare che? Anche loro per reinventare il mondo, rifarselo a propria immagine per quanto sfasciata.
        9-10. Giallo in discesa, 1961. Stereofonia (n.8), 1961
Ma Tacchi opera, secondo un paradigma distorsivo parola/immagine, Parola/visione, che Burri ha inaugurato.
All’oggetto/colore si attribuisce un movimento come se fosse un corpo/persona: è da qui che la questione dell’uomo passivo e in differente sta per entrare in scena nell’opera di Tacchi, spinto a relazionarsi, a creare. Suggestione architettonica, scrive Lancioni (p.22): sì, certo (Mondrian, Zevi, Argan). Ma anche gesto/corpo, e soprattutto parola, parola pronunciata, parola sentita, parola ritorta un andirivieni tra tragicità e serenità cui le parole lo trattengono o lo incitano. Parole o titoli di opere o in disegni e studi che sapientemente Daniela Lancioni ritrova: Singapore, UPIM, Standa, Café do Brasil, Casamatta. Mi soffermo su quest’ultima, non ho il suo disegno, ma certo Cesare avrà esplorato la definizione.
Casamatta s.f. [forse da casa matta, nel significato di “edificio che ha l’apparenza di casa ed è invece ben altra cosa]
 11. Immagine per una delle parole elencate tra gli appunti oggettuali di Cesare Tacchi ( riportate da Daniela Lancioni). Dalla Enciclopedia Treccani: Casamatta, una cosa che sembra una cosa, che invece non è: pseudità.
Tra i disegni preparatori di Tacchi, vediamo ad esempio il nome del colore ibridato sonoramente, e viceversa, senza corrispondenza alcuna con la cosa stessa, l’immagine: Stereofonia e Suono rosso, studi poi realizzati nelle sculture murali che sono i primi oggetti pseudo-design realizzati in Europa: Giallo Cromo n.4 e Senza titolo, entrambi del 1961.
In quest’ultima esce una piccola luce schermata dalla griglia.
Sì è vero, come dice Daniela Lancioni (p.20), che si tratta proprio di quella griglia là, quella incorporata ai televisori e ai giradischi dell’epoca e alle radio! Ma non ci troviamo dio fronte ad altro che della versione poppizzata dei Cementi di Giuseppe Uncini (l’arte della ricostruzione postbellica. Materia cemento e ferro).
   12. Senza titolo, 1961, smalto su legno e metallo, interruttore e filo per luce elettrica, cm 45x41x7.
Cesare prende il toro (della sua inquietudine) per le corna infatti subito: con le due sculture a parete, vero e proprio ircocervi tra attrezzo da riscaldamento e lampada da muro. Sono appunto Giallo cromo 4 e Senza titolo. Entrambe del 1961,
Pochi anni prima nel 1957 era uscita la seduta dei fratelli Castiglioni (n.) “Mezzadro”: su un sapiente supporto oscillante era stato piazzato il sedile anatomico da trattore color rosso pop, lo stesso rosso dell’auto fuoriserie in cui lo fotografa Plinio De Martiis nel 1964.
    13-14. Achille e Pier Giacomo Castiglioni, Sgabello Mezzadro, 1957, Gambo in acciaio cromato, base in faggio naturale evaporato, sedile verniciato (Colori: , arancio, rosso, giallo, bianco o nero), L 49 cm x P 51 x cm H 51 cm , Prodotto da Zanotta. Figura d’epoca sullo sgabello Mezzadro.
Oltre a quanto dobbiamo all’analisi politica arganiana ripresa sapientemente da Daniela Lancioni (p.28), ciò che vivevamo allora, è molto diverso da quello che viviamo oggi: vedo infatti un’opera/scultura dall’assurda apparenza oggettuale, disfunzionale e tuttavia richiamandoci a gesti o funzioni quotidiane che qui si inattivano: un senso di impotenza, lo spostamento da un campo dell’esperienza a un altro,
     15.Poltrona Gialla, 1964, smalto su tela e rilievo ( smalto, pastello, tela, chiodi, capoc, legno), cm 162,2x 121,5 x 8,5.
che perciò lo induce a opere come: Poltrona rossa e Poltrona gialla. Mentre l’operazione dei Castiglioni (per il vero buon design) è un auto educativo processo di integrazione della società contadina italiana nella metamorfosi industrializzata dell’antico artigianato, una stabile e tutto
     16 – 17 .Poltrona inutile, 1967, Esposta  Palazzo Ancalani 1967, Spoleto (la foto nel catalogo attuale è di Renato Mambor, b. n.).  Identificata nella maggior parte dei disegni come Poltrona chiusa, Grazie ai due braccioli laterali con ruote può essere presentata in vari modi: In questa mostra è aperta, spalancata. La sua caratteristica di avere la seduta di bassa altezza (come un poggiapiedi), respinge il sedersi. Nello studio in mio possesso (una china e acquerello su carta, cm 22 x 16, 4° pagina di una quaderno da disegno a spirale) leggesi in alto a destra: Studio per una poltrona- oggetto (sic: sottolin) “La poltrona chiusa” 1967”. Quest’ultimo è tra virgolette, come titolo dato dall’artista. Sarebbe interessante capire da chi è dato e da quando il nome “poltrona inutile”.
     17. Studio per una poltrona- oggetto (sic: sottolin) “La poltrona chiusa” 1967”.Archivio Simonetta Lux
INTORNO AL 1995 PSEUDO DESIGN E METODI DI FUGA: ad esempio Cattelan, Zittel, Rewakovicz.
    17. Maurizio Cattelan, Bibbidi Bobbidi Boo, 1996
     18. Andrea Zittel, A-Z _Escape Vehicule, 1996
    19. Ana Rewakovicz, Conversation Bubble, 2008, Odda, Norvegia.
sommato ordinata via di fuga dalla crisi post guerra (per intenderci i Cementi armati di Uncini, o i Catrami e i Sacchi e le Plastiche di Alberto Burri- di cui pure è da Tacchi citata l’intitolazione “cromatica”), per Cesare Tacchi è torsione insofferente del processo in corso, insofferenza che riscontriamo nell’apparizione in scena di personaggi indefiniti come in TO 531 Prova (1963), o in Circolare Rossa, dello stesso anno, quadro nel quale il cromatismo del titolo non è più “alla Burri’, ma nome burocratico municipale 7: Cesare Tacchi è ri-entrato nella realtà delle cose e dei mezzi, e con lui i passeggeri fantasma (dipinge quelle ombre al di là dei vetri: la ragione per cui si intravedono soltanto non è nei vetri sporchi e opacizzati, se la fiancata verde del tram appare bella e pulita). Fanno un vero e proprio trittico Circolare rossa (1963), Piazza Navona dall’automobile (1964) e Al milite ignoto (1964), inerente una condizione percettiva peculiare e popolare.
     20 -21 Circolare rossa, 1963, smalto su carta intelata, cm 140×180
Tacchi e Lo Savio: entrambi fortemente disturbati psicologicamente dal mondo delle “estraneità” tra uomini, della nuova civiltà dei consumi, anche del consumo dell’arte con la sua ritualità “espositiva”, come mi sembra ci confessi nel suo scritto “In memoriam”, flagrante contraddittorietà tra pensiero di quanto il suo amico Lo Savio tentava di far “sentire” (la luce da sentirsi fluttuante nelle sue strutture filtranti e/o includenti)e la distrazione dal percepire provocata dal sorseggio dell’aperitivo Campari offerto alla vernice della esposizione a La Salita: “e nel fastidio lo stimavo e ora più che mai lo sostengo”: lo scrive nel febbraio 1968 mentre sta per realizzare “La stanza” (di cornici senza quadro: aprile) e prima della sua “Cancellazione d’artista” nel maggio del 1968.
Non è che l’anteprima della fase degli straordinari quadri del 1964 – 1966, i cui fantasmi in scena (Renato e poltrona 1965, Paola e poltrona 1964, Sul divano a fiori 1965, La primavera allegra 1965), sono sì gli amici dell’epoca come Renato Mambor e Paola Pitagora, ma incomunicabili e autoreferenziali, come Gli indifferenti di Alberto Moravia: irrelazionalità e narcisismo.
22. Poltrona bianca con im pronte di personaggio Romantico sul tappeto, 1967, esposta a Palazzo Ancalani, Spoleto,, particolare .
Il ritorno agli oggetti, già nel 64 con Poltrona rossa e Poltrona gialla disegnati come se “presentati” in una offerta appetibile (la mano che entra nell’immagine a indicarne la bellezza), avviene l’anno prima della “Cancellazione d’artista”, nel 1967,(Poltrona bianca con impronta di personaggio romantico sul tappeto, Poltrona inutile, Porta nera e porta bianca, Sedia bucata e Sedia coll’acqua: è la perdita totale e il rifiuto dell’uso, fatta salva la memoria di una possibilità o di un evento d’uso sereno passato e non più presente.
La pseudità (come abbiamo visto nelle precedenti Poltrona rossa e Poltrona gialla) è data da quel mix inimitabile di defunzionalizzazione ed aggressività (Lancioni, p.41), di attrattività e negazione, di eccitazione e ir-realtà, che Tacchi chiama anche “carattere intimamente erotico” (lettera a Calvesi).
Tacchi ha percepito il meccanismo attrattivo, ma dal punto di vista dell’esperire repulsivo, dell’annuncio (pubblicità, comunicazione di massa, uso appiattito della “parola”, estraneazione dal sé).
Il processo della creazione attraverso la libera torsione associativa o letterale della parola lo abbiamo visto appuntandoci su Casamatta.
Questo processo può liberare anche il corpo, liberare il percepire, ascoltarci nel percepire, sentirci nel sentire.
 “Tant’è vero che per la mostra della primavera del 1968 da Plinio De Martiis alla galleria la Tartaruga, con le gigantesche opere Cornice, Segmento modulare bleu e alcuni altri giganteschi frammenti di oggetti e di decorazioni architettoniche prima che si aprisse nell’autunno il teatro delle mostre, Cesare Tacchi dà delle “prescrizioni”: per la prima volta tenta di comunicare a chi verrà come fare per sentire, e più tardi per sentirsi.
    23. Cornice e Segmento modulare nero, 1968, vilpelle, gommapiuma, legno, 2 elementi, cm 257x320x65 e cm130x49x62, coll. Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma. Foto Simonetta Lux. In catalogo, foto della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea.
“Nella stanza il pavimento sarà da calcare a piedi nudi”, scrive a Calvesi il 20 giugno 1968 (qui, p.210-211), descrivendo il perché e il come dell’invenzione della stanza con Cornici (senza quadro) e altri frammenti giganti architettonici. Il suo sottolineare la fisicità del suo “senso dell’idea” (credimi, non viene dall’anima) ed il fatto che – come avviene a lui stesso (siamo molto felici ed eccitati quando ci viene l’idea) – possa attivare nell’altro.
Il senso di Stanza è il determinare “l’avvertire una sensazione” (infatti entri a piedi nudi e avverti): nel suo calembour tra  sentire e senso dell’dea (che-precisa- non è il significato), Cesare istituisce (come forse più grossolanamente aveva fatto Duchamp agli inizi del novecento – istituisce una nuova figura di artista, per quella didattica alla creazione e per quel suo processo creativo stesso, che vuole sottrarre l’altro (chi assiste alle sue azioni e percepisce i suoi oggetti) all’automatismo conformistico della percezione consumante ed eludente il soggetto percettore stesso.
 24. Io sono tu sei – Due basi per un colloquio, 1970, una delle due basi, nella mostra attuale
Non è casuale che la Stanza dell’aprile 1968 preceda la sua Cancellazione d’artista, nel Teatro delle mostre dell’autunno di quell’anno: dove la vecchia figura di artista (lui precisa: non la opera, ma il luogo comune dell’artista) è cancellata, per questa nuova figura di artista preannunciata e attivata dalla dematerializzazione dell’oggetto/quadro, nella trasparenza attraversabile di un al di qua e di un aldilà di ogni opera futura che egli proporrà.
   
24 -25 – 26- 27. Io sono tu sei- Due basi per un colloquio, 1972, azione con Mario Diacono, Centro d’Informazione Alternativa Incontri Internazionali d’Arte, Roma, 17 maggio 1972. Foto Massimo Piersanti. Due parallelepipedi di legno, ciascuno 120 x 22 x 22. (sopra l’uno è inciso io sono, sopra l’altro è inciso tu sei). Foto a destra  di Marcello Gianveduti (Archivio Simonetta Lux)
Quale che sia la materializzazione o tecnica o oggetto che Tacchi da ora in poi proporrà, la cosa stessa non sarà mai cosa (oggetto), ma medium o catalizzatore della tensione tra persone, interno- mio / cosa/ esterno della cosa (o tu): è infatti 4 anni dopo l’opera Io sono Tu sei – dove si riprendono in azione lui l’artista e Mario Diacono il poeta, che si poggiano alle 2 basi per un colloquio sul cui piano di appoggio è inscritto Io sono  sull’una e Tu sei sull’altra (Basi per un colloquio è poi appunto la seconda parte del titolo dell’opera Io sono Tu sei).
     27.Io sono tu sei – Due basi per un colloquio, 1970, la base “io sono, nella mostra attuale.
Debbo riconoscere a merito di Ilaria Bernardi aver attuato la ricomposizione critica di quella scissione interna al soggetto, e interna all’uomo del suo tempo, che Tacchi colse, visse e che volle diventasse consapevolezza anche nell’altro, attraversando la creazione delle opere dalla Cancellazione d’artista, in poi: opere che furono difficili anche per noi che apprezzavamo senza riserve la intelligenza, ironia, capacità teorica e filosofica di Casare Tacchi. Tornare / far tornare bambino, e così esplorare gli elementari della conoscenza del mondo (e anche gli elementari della creazione: da vedersi come identità dei processi conoscenza e consapevolezza), è il primo-negli anni ’70- dei tre cicli che Ilaria Bernardi riesce convincentemente e esplorare e – occorre dire – a fare veramente conoscere anche a chi quelle creazioni cicliche ha vissuto accanto all’artista.
    28-29-30. Cesare Tacchi durante l’azione Arativo. Luogo adatto ad essere coltivato, galleria Schema Firenze 1972. Foto Massimo Piersanti. Arativo, 1972, pennarello sui carta, cm. 28 x22. Foto Antonio Idini, Archivio Cesare Tacchi ( cat. p. 64) . Emozione (a Bernini), 1988, cm 340 x 140, dettaglio vista nella mostra.
Anche se fa oggetti, oltre a disegni come Sentire …se dipingete chiudete gli occhi e cantate…” e dipinti o fotografie come Testimoni 1974, ne è perno l’immateriale dispiegarsi della persona, del soggetto, dell’uomo/artista e dell’altro con cui tenta una relazionalità: che con l’oggetto non può mai veramente darsi.
Tanto da farmi ripensare alla parte finale del mio scritto del 1980 su Sécrétaire: dove alla parola “pittura” andrebbe sostituita la parola “arte”:
 31-32. Il Gruppo Esperienziale di sécrétaire, nel corso dell’incontro alla Galleria La Salita, 1981. Sécrétaire, 1980, acrilico e olio su tela, cm 117 x 146 “oggetto di un gruppo esperienziale a funzione analitica”, Galleria La Salita, 1981
       33.Movimento all’interno movimento all’esterno, 1978/79, biro rossa su carta, cm 32,8 x 21,5, Archivio Simonetta Lux, Roma. Il disegno è l’immagine dello scindersi in una linea serpentina verticale e del dematerializzarsi del corpo del soggetto, che dovrà compiere l’esercizio obbligatorio come artista, dal suo interno (l’inconscio) all’esperienza esterna.
“Direi dunque assolutamente impossibile, al cerchio immobile del gruppo, porsi in relazione al dipinto: il dipinto stesso d’altronde, si offre e si nega- in assoluto-  al rapporto.
Cesare ama questo gruppo, che lo arricchisce, ma non al punto da sacrificare ad esso l’arte [la pittura]….
Ha dunque presentato il “quadro” sfidando quella difficile convivenza in sé dell’uomo e dell’artista, di cui il quadro parla. È ormai tardi, vorrebbe ritirarlo, per il troppo amore dell’uomo.
Ma con massimo mio piacere vince infine l’artista”.
 Ma qule arte “non sacrifica”? È l’arte come processo di conoscenza al di là della materia stessa dell’esperire, ed anche il dipingere come “esercizio obbligatorio” ed il dipinto come “immagine solida dell’autore mentre si nasconde (…) e riappare come puro spirito d’artista” ovvero come “pura immagine”.
    34-35-36. Il rito, Roma 16 novembre 1972, matita e pastello a cera su carta, cm 28×22 Foto Antonio Idini, Archivio Cesare Tacchi (cat. p. 63) Moi Même, 1982, olio su tela, cm. 55 x 33. Foto Salvatore Piermarini – Archivio Cesare Tacchi. Il disegno su dattiloscritto (36): Parlare dell’oggetto, mostrare il soggetto -, s.d. (ma 1978- 1979), dattiloscritto Lettera 22 e disegni a china, cm 32,8 x 21,5,  Archivio S. Lux, Roma.  (1980 sul Primo e Secondo Convegno di Comunicazioni di Lavoro di Artisti Contemporanei (1979; 1982) e sulle Conferenze di Cattedra “L’idea italiana della pittura. Testimoni e autori”, 1983. Testo e disegni che lo accompagnano sono una prima elaborazione, anteriore al 1979,,della concezione dell’opera …il triangolo si presenta la foro al quadrato…, esposta alla galleria La salita nel marzo del 1979 e di cui l’artista parlerà nel Primo Convegno di Comunicazioni di Lavoro di Artisti Contemporanei nel maggio dello stesso anno. Nel primo disegno il corpo, le cui quattro membra braccia e gambe smembrate si compongono in quadrato, intorno al foro. Il corpo residuo nel tronco smembrato si attesta di fronte al triangolo, collocati su due diversi “luoghi” o piani: il corpo diverrà poi, nel quadro del 1979, il bambino, l’originario soggetto conoscente. “parlare dell’oggetto, mostrare il soggetto”, qui l’artista in  verità mostra il soggetto esploso, “che per funzionare deve scindersi in soggetto interrogante, in luogo del soggetto e in corpo del soggetto”, parlando dell’atteggiarsi di esso nei confronti dell’oggetto di cui parlare. Nel quadro La scienza (1979) mostrerà i tre oggetti elementari della geometria, il cerchio (nel foro) il quadrato (in  cubo) il triangolo. Nel quadro …il triangolo si presenta la foro al quadrato… si riunificano intorno al foro il soggetto (il bambino (soggetto originario conoscente)
Ne scopro, solo ora, la significativa iscrizione sul retro della tela, sécrétaire scritto al rovescio,come in alcuni dei numerosi disegni a triangolini, spesso a spirale, uno dei quali (inedito) vede iscritto sul recto “movimento all’interno” (ed è l’incipit del disegno della figura spirale) e – esterno al disegno – scritto a rovescio “onretni’lla otnemimov” (movimento all’esterno). Tra i tanti disegni di questa serie, quello qui pubblicato (p.63) dà la chiave della sua nuova affermazione del “dipingere”: [la figura nel cerchio la centrifugazione del corpo fuori dell’immagine].
Pensare a rovescio, per riattivare veramente la creatività.
 Il voler far muovere sensibilmente la persona o l’altro, con cui l’artista si relaziona e si mette continuamente in gioco, genera la serie di pitture degli anni ottanta che Ilaria Bernardi identifica come appartenenti al ciclo su “lo spirito dell’arte”. Non è quella di Cesare Tacchi, un aggiornamento al trend anacronistico del “ritorno alla pittura” nell’era post-moderna. Il quadro è usato per enunciare l’altra specie di artista cui Tacchi pensa fin dalla cancellazione del 1968, quando diceva “ho voluto ficisizzare una condizione dei rapporti umani e l’ho fatto di persona cancellare l’artista “come personaggio” non come lavoro specifico”. Significativo il fatto egli preceda Jean-François Lyotard, che dirà (nel 1979) della condizione postmoderna (e non “stile” o tendenza). Per quanto maturato attraverso pseudo oggetti a indicare una “condizione” umana, ora attraverso l’oggetto/dipinto, afferma e nega nello stesso tempo il “ritorno” alla pittura: il suo dipinto/oggetto (ad esempio quello dal titolo Uccel di bosco) non sarà che “immagine solida dell’autore mentre si nasconde come uccel di bosco e riappare come puro spirito d’artista”.
Capisco bene ora perché, mentre preparavamo l’incontro su Sécrétaire alla Galleria La Salita, e subito dopo l’incontro alla Università, che intitolai L’idea italiana della pittura- testimoni e autori”, mi donò proprio il quadro intitolato L’ avventura nella pittura (esercizio obbligatorio). “La pittura – scrive Ilaria Bernardi (p.75) – per Tacchi è praticabile soltanto rifugiandosi nel luogo nascosto dell’inconscio ed è per questa ragione un Esercizio obbligatorio (titolo di un’altra opera esposta alla Salita nel 1983) se si vuole imparare a conoscere sé stessi e ciò che ci circonda”.
    37-38-39:   37.Al milite ignoto, 1964, smalto su carta intelata, cm 140×180. (cat. p.410) Che cosa avrà a che fare il milite ignoto con il tram della circolare rossa, il cui segno distintivo la linea gialla e rossa attraversa il volto? Solo il fatto che appartiene alla serie di 4 quadri legati alla sua percezione del mondo di Roma attraversandolo principalmente con le vetture municipali, facendosi fotografare da Renato Mambor come in foto ricordo sui monumenti più celebri della capitale? O al fatto che è in atto nell’ artista il processo di autosservazione del proprio percepire/sentire, attraverso linee di passaggio/paesaggio “turistico-culturali”, veloci, distratte e quindi fare una pittura non POPolare ma come consolidamento o forma conseguente a tale processo in sé stesso – così testimoniato all’altro – del processo del percepire /sentire?  Anche se la Circolare rossa non passava per Piazza Venezia.-38- L’avventura nella pittura. “esercizio obbligatorio”, 1980, olio su tela, cm 39,8×30., collezione/ archivio Simonetta Lux, Roma. (in catalogo ,p. 339), appartiene   alla stessa serie  di Esercizio obbligatorio, 1983, olio su tela, cm 65×56 (fu esposto alla galleria la Salita nel gennaio 1983 nella mostra “uccel di bosco”, insieme a: Della pittura, Meteore; Sécrétaire, Temperie). E’ la serie “lo spirito dell’arte” (cat Tacchi, p.351; p 339). Nella notte, si dispiegano i fogli o carti gli “in quadrato” intorno al foro (di luce/luna) al centro del quadro quadrato  e dell’immagine dei fogli “in quadrato”. Foto Salvatore Piermarini. 39. Il quadro La scienza (1979, foto si Salvatore Piermarini, Archivio Simonetta Lux) mostra i tre oggetti elementari della geometria, il cerchio (nel foro) il quadrato (in  cubo) il triangolo. Nel quadro …il triangolo si presenta la foro al quadrato… si riunificano intorno al foro il soggetto (il bambino (soggetto originario conoscente)
  Gli allora misteriosi, eccellenti, lavori pittorici (Oltre a Sécrétaire, Della pittura, L’avventura nella pittura (esercizio obbligatorio), Uccel di Bosco del 1982, Esercizio obbligatorio, del 1983, Lo spirito dell’arte, del 1985, e tutta la serie di matrice sécrétaire, con foglie/o foglie, cultura/natura, ci orientano sulla sorpresa o originarietà percettiva anche nei confronti della storia (degli artisti). Ad esempio: i fogli o stoffe o gli ondulati velenosi, come i marmi delle finestre finite/non finite di Palazzo Chigi in Emozione (À Bernini).

 

Mentre gli fu dura la permanenza nell’assordante sistema dell’arte, gli fu lieve – ce lo dice l’amore dei suoi studenti e colleghi di allora – la avventura educativa all’arte, all’università e al liceo artistico di Roma, di cui segnò la via del prestigio.

 

18 maggio 1968,  Cancellazione d’artista, Teatro delle mostre, Galleria Plinio De Martiis, Roma.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   3.Rosso, giallo e nero/ Verde, rosso e giallo, 1962, pennarello su carta, cm 28×22

 

    4. Stereofonia (n.8), 1961 /Suono rosso (n.6), 1961 /Giallo in discesa, 1961 /Giallo in salita, 1961 ( disegni a penneqarello, inchiostro e pastello su carta, ciascuno cm 28×22  (Foto Antonio Idini, cat. pag.23)