Uemon Ikeda è nato a Kobe, in Giappone, nel 1952. Si è diplomato nel 1977 all’Accademia di Belle Arti di Roma e da allora vive in Italia. Con la mostra Acrobazie l’artista persegue il funambolico desiderio di porsi tra comportamento ed assiologia, praticando del primo l’istanza esperienziale e dinamico-mnemonica, dell’altra, l’oggettività referenziale e progettuale. Nel testo di Simonetta Lux, pubblicato in occasione della mostra, si colgono le peculiarità di un vissuto esposto in chiave aforistica: l’interlinearità, analisi, atemporalità. Nel primo caso si tratta di interporre tra i pensieri propri dell’artista alcune riflessioni gnomiche, in modo da alternare delle vere e proprie annotazioni al flusso meditativo dell’artista. “Seguendo il suo filo logico del tempo, il pittore euristico che è capace di dipingere il suo soggetto nella sua sequenza del tempo e sarà capace anche di affrontare l’eventuale situazione. Sarà un mero quadro della situazione eventuale per il tempo comune di tutti”. Il rapporto tra pittura e scrittura è espresso per parallelismi nella consapevolezza del loro aspetto propositivo. L’artista espone il suo itinerario mentale e si avvicina alla definizione senza mai raggiungerla completamente, il suo è un atteggiamento teleologico, in lui c’è la previsione del progetto. La scrittrice parte, invece, da un’iconicità concreta e getta le basi per le ulteriori considerazioni, in questo modo articola il flusso narrativo facendo vacillare ogni continuità autoreferenziale, contrapponendo una proposizione capace di asserire e significare uno stato di cose alla descrizione di un processo in corso. Due anime si intrecciano in questo libro, “spartito” della mostra al Museo Laboratorio, diario di un’elaborazione che, oltre ad essere l’edificio teorico di una prassi operativa, ne è la sua motivazione profonda. Sfruttando l’equivalenza delle parti, critico ed artista, si lanciano in una stimolante concorrenza su piattaforme comuni, luoghi d’incontro intellettuale. L’analisi si svolge per “incursioni” nella storia dell’arte senza mai perdere di vista la specificità del lavoro dell’artista. Simonetta Lux divide in due parti la sua diagnosi dal titolo Il giardino perduto . Il lavoro di Ikeda è una tipica “chiusura dello spazio” in cui si avverte sia l’intenso legame con la cultura d’origine, il Giappone, sia il raporto continuo con la condizione spaziale occidentale, in particolare quella urbana, di cui traccia delle resezioni significanti, degli spazi teatrali vuoti quasi ad indicare la messa in scena del nulla, un diastema atto ad accogliere una vitalità ritualizzata dall’arte che, in tal caso, sottrae il pubblico alla “dimenticanza, all’inerzia, alla smemoratezza”. L’opera di riferimento a questo modo di agire di Ikeda è quella da lui eseguita nel 1995 dal titolo Follia di una Donna/ Nodo, in occasione della mostra Incantesimi, scene d’arte e di poesia, svoltasi nel Palazzo Orsini di Bomarzo (VT). In quell’occasione l’artista aveva reso impraticabile un sottopasso del castello rinascimentale con un grande nodo; il riferimento è alla fascia del Kimono femminile. Anche alla mostra al Museo Laboratorio Ikeda ha legato, con un grande nodo, due tavoli dell’arredo anni ’40. Nella seconda parte dell’analisi Simonetta Lux si sofferma sui dipinti dell’artista, ne intuisce lo spostamento del punto di fuga al di fuori del quadro creando, così, uno sbilanciamento della “scatola prospettica” che fa scattare lo sguardo oltre i confini del pannello. La pittura  concepita come stimolo, segnale per lo spostamento del fuoco visivo in modo da condurre l’osservazione in tutta la galleria alla ricerca di un equilibrio tra dentro e fuori l’opera, si scorgono i paradossi prospettici delle opere di Sol Le Witt coadiuvati dall’evidente volontà di ripensare la griglia assiale dell’intero edificio. Travalicando il mero intento illusivo, i riquadri colorati fanno slittare la certezza prospettica in uno schema percettivo sintetico dello spazio; i disegni sono una conferma di ciò. La gabbia lineare indica un resoconto redatto in situ sottoforma di appunti, veri e propri “percorsi intuitivi e attraversamenti” che forniscono il tracciato ambiguo della composizione-decomposizione di uno stato apparente delle cose. L’idea di trasformare il museo in teatro e, viceversa, il teatro in museo, inserisce l’artista in un’arte concettuale che prevede la centralità dell’artista-attore e la perifericità dell’opera come medio per un’interazione con lo spazio. Questa lateralità dell’opera ci fa individuare una zona in cui l’arte si propone di ridefinire i luoghi intuendone la funzione comprensiva della vita umana, in modo da individuare, nei limiti dell’inerzia sostanziale delle cose, quelle architetture che condizionano l’esistenza. L’architettura programmata dalle tavole tecnigrafiche di Ikeda è una sorta di abitazione impossibile, un intreccio di linee di demarcazione di “un territorio dove ogni segno sembra rinfacciargli la non misurabilità della ragione del pensiero sullo spazio” . Così l’ Architetto Paolo Martellotti definisce i disegni di Ikeda, i suoi progetti, menzonieri dal punto di vista prospettico, ma veritieri plastici di percorsi esistenziali. In fine l’atemporalità nella quale si svolgono le azioni della memoria, scandita dalle frasi, dalle considerazioni della interlocutrice Simonetta Lux, esclude ogni sequenza rigida di episodi o azioni, raduna, in un quadro unitario, ricordi recenti e remoti, rendendo impossibile ogni stratificazione dei momenti. Si tratta piuttosto di un assemblaggio che non ha profondità poiché appare nell’insieme come un grande affresco di emozioni, un drenaggio del subconscio svelato per automatismi psichici per associazioni libere, per cui ogni possibilità di organizzare il ricordo non come qualcosa che pre esiste ai sensi ma come qualcosa che insiste, prustianamente, sui sensi. Nel suo Teatro Impossibile, Uemon Ikeda si accinge a rappresentare le sensazioni si fanno presupposti per l’azione, diventano il punto di partenza per un intervento che è già a pieno titolo risolta nello spazio definito dall’artista, il desiderio è il motore dell’azione, la profondità e il vuoto reale offre lo spiazzamento dell’imprevisto nell’instabilità della vita.

 

Marcello Carriero

 

 

 

     

        

Immagini 1-8: alcuni progetti di Uemon Ikeda

Immagini 9-16: visione dell’installazione presso il Museo Laboratorio