La mostra è stata concepita su due livelli linguistici determinati: il primo è quello della cernita di un nucleo di opere che stimo particolarmente interessanti nell’ambito della contemporaneità. Sono lavori che hanno stilisticamente poco in comune, a parte un accessorio corredo tecnico, e che investono campi e settori differenti della ricerca ma che corrispondono alle tematiche espresse nel testo di Avanguardia nel Presente. Opere che vanno dal sabotaggio informatico – Zhou Tiehai ed i relativi problemi aperti dal sistema telematico – all’esistenzialismo – quale quello praticato da Baldinetti, esule “politico” nel suo monolocale. Su un secondo livello si situa la prassi fattuale dell’allestimento, in cui quindi il percorso critico si dispone secondo tracce simboliche: la simmetria quale rapporto vitale della cultura figurativa, il tempo dell’azione fruitiva, la posa fondamentale dell’illuminazione, il tempo proprio degli oggetti in mostra che narrano concisamente dieci anni di lavoro critico ed espositivo. Nella visuale di questi parametri, quindi, la mostra non può essere ricondotta allo stereotipo complementare di una esperienza testuale quale quella del libro, né tanto meno illustrano le complessità espresse dalla scrittura. Tuttavia esiste un rapporto molto stretto, sincronico, fra quanto esiste nella “forma” e quanto si attiva “esteticamente” attraverso la scrittura. In primo luogo perché questi oggetti, che sono poi spesso oggetti quasi del tutto immateriali, dimostrano la volontà di un’arte che si faccia portatrice di una densità comunicativa; se dovessimo unificare queste differenti esperienze estetiche espresse in mostra si potrebbe senz’altro sostenere che esse ci pongono nei confronti di oggetti testimoniali di un itinerario significante più vasto. I lavori presenti consistono, infatti, nella maggior parte dei casi di frammenti “significativi” di un ordine discorsivo molto ampio, a cui spesso questi lavori rimandano. È quanto dimostrato dal lavoro meno recente in mostra, datato 1991/92; si tratta di ODOS di Alberto Zanazzo. Questo lavoro consistente in diciotto elementi di perspex bianco era, infatti, il modulo simbolico di un’opera virtuale della durata di un anno, realizzata in dodici mostre presenti in un catalogo/libro d’artista e mai realizzate concretamente. Alfredo Baldinetti presente con Work in progress, 2001, è del tutto estraneo a questo genere di rappresentazioni, ma l’opera proposta in questa mostra costituisce un momento reale, vitale, esistenziale di una simile circostanza comunicativa: l’artista, infatti, che ha scelto di esiliarsi nel suo monolocale espone “evocativamente” se stesso chiuso nella sua stanza raggiungibile attraverso la linea telefonica; un’opera esistenziale che si propone di sostituire al rapporto impersonale fra “oggetto” e fruitore quello più reale della partecipazione vitale. Il lavoro di Urs Breitenstein, Weltzeit, 1996, apre altri interrogativi: l’opera in sé è concretamente un “file” elettronico di piccole dimensioni. Nelle istruzioni dell’artista, tuttavia, l’opera si può realizzare solo con la sua messa in mostra all’interno di un vecchio computer Mac. In questo caso quindi la delega curatoriale investe anche un sostanziale principio estetico, attraverso il quale il critico da fruitore passivo diviene parte esecutiva e creativa dell’oggetto esposto. Opera del tutto testimoniale è quella di Amanda R. Currie, Heliport, 1996 – 2000, la quale usa un fotogramma da diaproiezione per documentare un suo lavoro sociale venato di forte riferimento all’environment ed alla land-art. Josef Dabernig con Jogging, 2000, espone un lavoro video facente parte della sua ultima produzione, fondata su una deterritorialità surreale dell’azione umana, della frammentazione, dell’azione e dell’inspiegabilità complessa dell’esperienza. Estremamente concettuale e tecnologica l’opera proposta da Dellbrügge & de Moll, anche questa documentale di un ciclo vastissimo di lavori assemblati in un CD interattivo Hamburg-ersatz, 2000, esposto insieme al catalogo cartaceo. Fa parte del ciclo Diffidate della storia dell’arte l’opera Speculum, 1996, di Sukran Moral: questo ciclo di lavori si basava sulla incomunicabilità della storia dell’arte ad un pubblico non esperto e sulla impossibilità di trovare un metodo rigoroso di ricerca. Terminato in occasione della mostra il video di Christiana Protto Heads and tails uncut, 2000, rappresenta l’identità del contemporaneo proiettata in una dimensione critica dell’arte, come sistema di indagine sintattica sulle ragioni etiche e sull’entità educativa dell’immagine. Simbolico dell’apertura verso l’alterità ed anche delle rivendicazioni di un’arte non-occidentale, aderente alle dinamiche tecnologiche, l’azione sabotatrice di Zhou Tiehai; Fake cover, 1995-1998, rappresenta una sorta di elemento paradigmatico delle emergenze e delle sincronie attualmente attive nell’ambito dell’arte contemporanea. Il lavoro di Annecchini, Abitare la Distanza, 1998, infine, dimostra la possibilità di un’arte critica in cui l’elemento testuale ne risulti inglobato; in questo caso l’opera che nella prima ideazione risale al 1988, risulta rimaneggiata nelle proporzioni. Il testo critico, simbolicamente “il piedistallo teorico” su cui viene proiettata l’immagine, propone una fattiva visuale delle possibili collaborazioni fra artista e critico. Nella sua proposta complessiva la mostra agisce su un ulteriore differente livelli narrativo; a corollario di una forma individuale l’intervento non indifferente di un agire critico operativo decide l’uso di una simmetria espositiva e di una “forma conclusa e complessa” della mostra a rilevare l’emergere di relazioni successive che mettono in scena l’identità curatoriale come elemento non marginale dell’esecuzione espositiva.